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Autogol di Zingaretti. La rottamazione del Pd è già bocciata da tutti

Il segretario giura: «Rivoluzione interna» Ma da Sala a Orlando è pioggia di critiche

Autogol di Zingaretti. La rottamazione del Pd è già bocciata da tutti

Missione compiuta. La svolta di Nicola Zingaretti («Dopo le regionali in Emilia sciolgo il Pd») scontenta tutti.

Dal sindaco di Milano Beppe Sala al numero due dei dem Andrea Orlando: tutti sono scettici sull'operazione restyling. E da Italia Viva arrivano battute al veleno: «Era Renzi che voleva sciogliere il Pd?». Una svolta che al contrario piace ad Achille Occhetto: «Passo significativo che va nella direzione di un cambiamento necessario».

Nel colloquio con Repubblica - Zingaretti anticipa il nuovo corso, all'indomani del voto in Emilia e Calabria, per il Pd: «Vinciamo in Emilia-Romagna», dove «il Pd sta facendo la campagna elettorale per Bonaccini in splendida solitudine» senza l'appoggio di Iv e M5s, e poi cambio tutto: sciolgo il Pd e lancio il nuovo partito». Annuncio accolto con dubbi e freddezza dalla Ditta.

Il più critico è il primo cittadino di Milano: «Credo che noi sindaci non crediamo a un partito dei sindaci ma tutti noi vorremmo avere più rappresentanza all'interno del Pd e del mondo della sinistra. Però attenzione, anche lì - ha chiarito Sala - la rappresentanza non è che si può espletare solo nei momenti assembleari. Quando poi c'è da prendere decisioni, sulle nomine dei ministri o dei sottosegretari, se ci daranno spazio, ci saremo anche noi o no? Credo che siano in tanti che vogliano dare un contributo. Però non possono essere contributi solo quando si vuole. Il contributo significa esserci ed esserci quando si decidono le cose importanti».

Sala mette in luce lo scarso coraggio di Zingaretti: «L'allargamento non deve essere una operazione di facciata. Non credo che sia molto saggio chiedere alle Sardine di avere un ruolo nella futura sinistra relegandoli a un ruolo minoritario. C'è bisogno di avere coraggio, credo che se Nicola avrà questo coraggio farà una cosa buona e io a prescindere una mano la darò. È il momento del coraggio perché così noi potremmo accontentarci di essere un partito del 20%, ma credo che sia accontentarsi troppo. Il punto è vincere e riconquistare un ruolo che permetta di togliere il Paese dalla situazione in cui si trova».

L'alt alla fuga in avanti del segretario arriva dal capogruppo alla Camera dei dem Graziano Delrio: «Il cambio del nome è prematuro, per ora è importante riflettere sempre di più, mettere pensieri lunghi e visione lunghe nel nostro partito».

Dubbi condivisi da Andrea Orlando, vicesegretario nazionale dei democratici: «Il cambio di nome del Pd non mi pare il punto di partenza, mi pare piuttosto l'esito eventuale di un percorso che sappiamo come inizia ma non possiamo definire quale sia la conclusione».

Stop anche dal sottosegretario alla Scuola Anna Ascani: «L'idea dello scioglimento del partito - della casa dei riformisti italiani, che ha appena dimostrato di poter resistere allo scossino provocato da due scissioni guidate da due ex segretari - paventata da Repubblica e in parte smentita oggi dallo stesso Zingaretti, mi parrebbe un tentativo di cambiare tutto perché nulla cambi. Sarebbe un errore e, di certo, un'occasione sprecata».

Mentre per l'ex segretario Maurizio Martina ora ci sono altre priorità: «Adesso è importantissimo che in queste ore noi tutti, ciascuno per come può, si faccia un lavoro a supporto di Stefano Bonaccini e del progetto che sta interpretando bene per il futuro di questa regione. Questa è la questione fondamentale e prioritaria». Zingaretti esulta: «Finalmente un partito unito».

Ha ragione: la bocciatura è unanime.

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