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Autonomie, M5s dice di no: "Al Sud cittadini di serie B"

Salvini piccato: "Macché, non avete letto i documenti". Le intese con le Regioni ieri in Consiglio dei ministri

Autonomie, M5s dice di no: "Al Sud cittadini di serie B"

Ieri sera alle 20 è scoccata l'ora fatidica per Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Le intese tra le tre Regioni e il governo sono state formalizzate in tre testi sul quale sarà poi il Parlamento a doversi esprimere. Salvini ovviamente gongola: «Passaggio storico, chi governa meglio spenderà meno. Nessuno ci perde una lira».

Il ministro per gli Affari Regionali, Erika Stefani, si era affrettata ad anticipare che «la procedura non prevede che l'esecutivo voti sui testi» e aveva inoltre manifestato un moderato ottimismo sull'esito di una discussione dai contenuti strettamente politici.

Una partita dalla quale era uscito subito (e non per sua volontà) il garante della stabilità del bilancio pubblico, il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, le cui perplessità non sono riuscite a fare argine all'impeto di una Lega ansiosa di portare a casa un risultato significativo dopo la sostanziale inconsistenza delle propria attività in campo economico, mitigata solo parzialmente dal successo nella questione migranti. A pomeriggio inoltrato, infatti, il gruppo parlamentare M5s ha cercato di mettere i bastoni fra le ruote al partito di Matteo Salvini facendo filtrare un report nel quale venivano esplicitate una serie di obiezioni all'adozione del modello autonomista. «Legare i fabbisogni standard, come sostiene il Veneto, alla capacità fiscale dei territori rischia di far sì che le Regioni più ricche abbiano maggiori trasferimenti a scapito da quelle più povere», si legge nel dossier nel quale si paventa l'incostituzionalità della procedura. Ma quello che stupisce è come la sindrome dell'analisi costi-benefici (già sperimentata infruttuosamente sulla Tav) abbia ormai contagiato il Movimento in tutte le sue articolazioni. «Il corretto conteggio dei fabbisogni standard, i quali vanno affidati a un organismo già esistente e funzionante, la Commissione tecnica fabbisogni standard, anche per evitare un moltiplicarsi di commissioni e di parametri», aggiungono i pentastellati. Non poteva poi mancare l'ammonimento unionista. «Guai alla creazione di un contesto in cui ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B, esito espressamente vietato dalla Costituzione», chiosano. Obiezione alla quale Salvini replica: «Macché, non hanno letto il documento».

Insomma, per un giorno i grillini sono diventati paladini della Carta fondamentale paventando una miriade di ricorsi se le intese non garantiranno allo Stato la possibilità di verificare l'adeguatezza dei livelli essenziali delle prestazioni non solo nella sanità, ma anche nell'istruzione, tutela dell'ambiente e sicurezza del lavoro.

È chiaro che una simile argomentazione risulti pretestuosa nel momento in cui il Carroccio ha bombardato, da una parte, il reddito di cittadinanza con una serie di emendamenti che ne restringono il campo di applicazione e, dall'altra parte, ha fatto ripartire dal via il ddl per le chiusure domenicali dei negozi, altro tema caro a Di Maio e allegra compagnia. Niente più che gli strascichi del tormentato post-voto in Abruzzo con un M5s in perenne crisi di identità e di nervi.

Se la maggioranza fa l'opposizione a se stessa, è chiaro che al resto del Parlamento sia precluso un altro spazio vitale va da sé che il «siamo d'accordo» proferito ieri mattina da Salvini sull'argomento a fine giornata era di fatto smentito. Tutta acqua al mulino di Forza Italia. «Serve un federalismo solidale che faccia correre l'Italia», ha commentato ieri il capogruppo alla Camera, Mariastella Gelmini, auspicando che «la Lega non ceda ai pregiudizi statalisti del Movimento 5 Stelle».

In ogni caso, la strada sarà lunga: è possibile, infatti, un passaggio alle commissioni Affari costituzionali e alla bicamerale sul federalismo, mentre le intese dovranno essere ratificate dalle Camere.

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