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Autoreferendum di Renzi su governo e riforme: "Decide solo il popolo"

Il premier lancia l'avvertimento a oppositori interni ed esterni: altro che dibattito, sull'abolizione del Senato interpelleremo i cittadini. E per le leggi ordinarie c'è sempre l'arma del decreto

Autoreferendum di Renzi su governo e riforme: "Decide solo il popolo"

Un referendum pro o contro Renzi. Il premier lo dice con altre parole, ma la sua ferma intenzione è quella di non arretrare nemmeno di un millimetro sulle riforme. Non si accetteranno diktat perché saranno i cittadini a esprimersi sulla qualità dei testi di Maria Elena Boschi. Dopo la rottura del Patto del Nazareno e i malumori interni sia alla maggioranza Pd che all'opposizione, il premier ribadisce un concetto già espresso in passato ma che oggi assume tutto un altro significato. «Sarà il popolo a decidere se la nostra riforma va bene o no», ha scritto nella newsletter pubblicata sul proprio sito, ricordando che «superare il bicameralismo paritario, ridurre i poteri delle Regioni ed eliminare gli enti inutili» sono gli obiettivi del governo.

Domani alla Camera è prevista la votazione finale sulla seconda lettura del testo dopodiché si punta al referendum confermativo. «Per noi decidono i cittadini, con buona pace di chi ci accusa di atteggiamento autoritario: la sovranità appartiene al popolo», ha aggiunto rimarcando come «il popolo, nessun altro, dirà se i parlamentari hanno fatto un buon lavoro o no». La durezza del tono è un avviso alla minoranza di sinistra del Pd e a Forza Italia che si è sfilata dal contesto. La consultazione referendaria sarà un plebiscito sulla politica del governo: se l'esito dovesse essere positivo, è il senso del messaggio, saranno spazzate entrambe le opposizioni: quella interna al Pd e quella di centrodestra. I sottili e strumentali distinguo dei vari Bersani, Cuperlo e Civati sulla necessità di formare un ampio consenso sulla materia sono stati travolti in un nanosecondo. Almeno per ora, considerato che a Montecitorio il Pd è praticamente maggioranza assoluta (e comunque Ncd non può sfilarsi pena la cacciata dall'esecutivo).

Ecco perché il presidente del Consiglio può permettersi di inviare agli iscritti al suo sito un cronoprogramma dei lavori che, oltre a riforme e Italicum, prevede anche i ddl sulla scuola (da licenziare in settimana) e quello sulla Rai oltre al ddl delega Madia sulla pubblica amministrazione, che dovrebbe ricevere l'ok in commissione al Senato questa settimana e poi andare in Aula. Renzi ha rinnovato il proprio invito al Parlamento: discutere velocemente. «Se le opposizioni non fanno ostruzionismo, ma provano a dare una mano anche migliorando il testo, non ci sarà nessun provvedimento di urgenza da parte nostra» sulla scuola (e forse pure sulla Rai). Due piccioni con una fava: opposizioni e Boldrini di turno sono serviti, l'atteggiamento è formalmente collaborativo ma se qualcuno farà scherzi, si passerà al decreto.

Il motivo di questo decisionismo? «Il 41% inchioda il Pd a una grandissima responsabilità: rispondere agli italiani che vogliono tornare a sperare», ha concluso. L'equazione è molto semplice: il voto delle Europee ha legittimato Renzi e solo Renzi, dunque tutti gli altri non hanno titolo per contestare. Oltretutto, la situazione macroeconomica volge al bello grazie all'immissione di liquidità da parte della Bce, ai tassi bassi, alla svalutazione dell'euro e alla discesa dei prezzi petroliferi anche se il premier se ne ascrive parte del merito attraverso «la solidità delle nostre riforme». Il solco è tracciato: «Un attacco al potere di rendita di chi difende in modo tenace e ostinato lo status quo». L'elezione di Mattarella e gli accordi fiscali con Svizzera, Liechtenstein e Monaco (si spera anche in quello col Vaticano) sono tutte facce di una stessa medaglia per Renzi.

Per fermarlo serviranno idee valide e argomenti altrettanto forti.

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