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"Avvisò l'indagato". Emiliano rischia grosso

Il governatore della Puglia sapeva dell'inchiesta e scrisse in anticipo a Pisicchio in chat: "O lasci o ti caccio"

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E ora sono cozze amare. Il governatore della Puglia Michele Emiliano sapeva che il suo assessore rischiava le manette e potrebbe essere indagato per rivelazione di segreto d'ufficio. La prova è nelle chat scambiate il 10 aprile scorso con Alfonsino Pisicchio, l'ex assessore all'Urbanistica finito ai domiciliari assieme al fratello Enzo la stessa sera delle chat, nella quale Emiliano lo ha minacciato: «O ti dimetti o ti caccio».

Pisicchio, difeso dall'avvocato Salvatore D'Aluiso (che già annuncia ricorso al Riesame contro le manette) è coinvolto in un'indagine nata dopo un'informativa del Noe dei carabinieri datata 12 marzo 2019, che ipotizzava corruzione e turbativa d'asta, appalti truccati in cambio di posti di lavoro e polizze fideiussorie false. Lo scorso 8 febbraio il pm Claudio Pinto aveva depositato la richiesta di misura cautelare dopo oltre tre anni. Alle 17,10 di lunedì 8 aprile arrivava l'ok del gip Ilaria Casu ai domiciliari, convinta soprattutto da una nota del Nucleo di polizia economico finanziaria che le ha girato il pm. Pinto riceve a sua volta il documento del gip martedì 9 aprile e lo affida agli uomini della Guardia di Finanza guidati dal colonnello Arcangelo Trivisani. Ma la delibera numero 9/2024, firmata digitalmente da Emiliano alle 14,13 che anticipa le dimissioni di Pisicchio (arrivate alle 16) insospettisce gli inquirenti, che fanno scattare le manette alle 20 dello stesso 10 aprile anziché il lunedì successivo.

Pisicchio sarebbe stato sconvolto a tal punto da quel diktat «dimettiti o ti caccio» da fotografare la conversazione e girarla a moglie e familiari. I cellulari dei due Pisicchio sono già in mano al consulente della Procura Raffaele Colaianni: chissà quali chat Enzo Pisicchio aveva cercato di cancellare, pizzicato in tempo dalla Gdf. Secondo una prima ricostruzione della conversazione fotografata, Emiliano avrebbe tirato fuori una «vecchia inchiesta che ti riguarda e che ha ripreso slancio». Quando Pisicchio (già vicesindaco di Bari con Emiliano al Comune) avrebbe provato a giustificarsi, mendicando un incontro chiarificatore, il governatore avrebbe fatto riferimento al tintinnio di manette, intimandogli l'aut aut. I pm avrebbero acquisito anche la delibera regionale firmata Emiliano.

Ma chi gliel'ha detto al governatore? I suoi ex colleghi potrebbero presto chiedergli di identificare «la fonte romana» di cui parla Pisicchio, che ha esibito le schermate dei messaggi ai magistrati durante l'interrogatorio di garanzia di lunedì scorso. D'altronde, la Procura ha una reputazione da difendere. Qualche anno fa Massimo D'Alema disse che proprio da Bari sarebbe partita la «scossa» che avrebbe terremotato la vita di Silvio Berlusconi, e così fu con la vicenda D'Addario. È giallo anche sul ruolo dell'avvocato di Pisicchio, quel Michele Laforgia candidato della sinistra e dei Cinque stelle a sindaco di Bari, che ha subito mollato Pisicchio («Ma non sapevo e non potevo sapere nulla dell'ordinanza custodiale», ripete), quasi a giustificarsi per la deriva forcaiola che hanno preso i suoi sponsor grillini, in testa l'ex premier Giuseppe Conte.

Per Bari sono giorni caldissimi: non bastasse il rischio scioglimento del Comune per mafia, a giorni si riaprirà la vicenda del crac della Popolare di Bari, altra indagine che sfiora il governatore e personaggi vicini a D'Alema come l'ex Banca 121 Vincenzo De Bustis.

I sogni di vittoria di Antonio Decaro alle Europee rischiano di frantumarsi ogni giorno di più.

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