Mondo

Il bacio tra Angela e Donald non ferma la guerra dei dazi

Incontro cordiale tra i due leader. Sul piatto Iran e Medio Oriente. Gli Usa chiedono «reciprocità» alla Ue

Il bacio tra Angela e Donald non ferma la guerra dei dazi

Non solo la stretta di mano, anzi le due strette di mano. Pure due baci sulla guancia e i complimenti per il quarto mandato e come «donna straordinaria». Donald Trump gioca in contropiede e cerca di smontare le previsioni che hanno caratterizzato la vigilia del vertice con Angela Merkel. Previsioni sulla freddezza dei rapporti con la cancelliera, specie dopo l'intensa e amichevole visita di Stato di Emmanuel Macron, che si è appena conclusa in maniera trionfale per il leader francese. A differenza di un anno fa, quando Merkel andò a Washington e Trump evitò di stringerle la mano (nonostante l'esplicita domanda di lei, che lui finse di non sentire), il leader statunitense stavolta si mostra accogliente, perfino troppo caloroso per sembrare credibile. Specie quando a favore di obiettivo pronuncia un «mi piaci», ricambiato dalla cancelliera che risponde «anche tu».

Eppure il freddo (almeno politico) tra i due leader resta. Testimoniato non solo dal breve tempo dedicato da Trump a Merkel, che lui stesso ha sottolineato in un tweet prima del vertice: «Così tanto da discutere, in così poco tempo». Le divisioni emergono tra le righe soprattutto in conferenza stampa quando alla cancelliera viene chiesto di riferire se la questione dei dazi commerciali è stata sbloccata (il 25% sulle importazioni di acciaio e il 10% su quelle di alluminio imposti a marzo dagli Stati Uniti). Il tema è scottante e Merkel è in visita anche per questo, perché l'esenzione per l'Europa prevista da Trump scade il primo maggio. Imbarazzata, la cancelliera non si sbilancia: «Il presidente deciderà, la decisione è del presidente». Ma è lui, poco dopo, a insistere su uno dei suoi tormentoni. «Reciprocità», dice a chi gli chiede se si arriverà sull'orlo di una guerra commerciale Stati Uniti-Europa. Reciprocità che in questo caso potrebbe voler dire - come ha anticipato il consigliere economico Larry Kudlow - concessioni per gli Usa nel settore automobilistico. Trump ne approfitta anche per chiedere agli alleati della Nato di aumentare le spese della Difesa fino al 2% del Pil «e si spera anche di più». «Vogliamo un rapporto più equo, più giusto», insiste sollevando la Germania da eventuali colpe e scaricandole sul predecessore Obama.

Anche sull'Iran nessuna dichiarazione decisiva sulla possibile revisione dell'accordo che scade a metà maggio, semmai la conferma di una linea rossa del capo della Casa Bianca, che promette: «Fermerò le armi nucleari. L'Iran non le avrà mai, potete scommetterci». Se questo avverrà con un'azione militare, il presidente non lo dice: «Non parlo di questo», taglia corto. Quanto a Israele e all'apertura dell'ambasciata americana a Gerusalemme, il leader americano anticipa: «Potrei andare. Ne sono molto orgoglioso».

Così, alla fine, il senso del vertice lo offre Peter Beyer, coordinatore transatlantico di Berlino, incaricato dei rapporti con gli Usa. Che ancor prima dell'incontro ha messo in guardia sulle aspettative «troppo alte»: «Le relazioni transatlantiche erano più semplici prima.

Troppo a lungo tedeschi ed europei hanno dato per scontato una stretta relazione con gli Stati Uniti».

Commenti