Economia

La bad bank è una chimera per colpa di prezzi e garanzie

Continua lo scontro con l'Europa sui crediti a rischio dei nostri istituti. L'Italia chiede che le sofferenze siano valutate al 40% dei fidi, ma Bruxelles e la Bce non cedono

La bad bank è una chimera per colpa di prezzi e garanzie

Fate presto! Il presidente dell'Associazione bancaria italiana (Abi), Antonio Patuelli, ha chiesto al governo di chiudere quanto prima la discussione con Francoforte e Bruxelles sulla bad bank perché «bisogna concludere al più presto i negoziati: meglio dell'incertezza sarebbe una conclusione di qualsiasi genere». Dopo l'ennesimo crollo dei titoli finanziari a Piazza Affari gli istituti comunicano a preoccuparsi seriamente dell'inesorabile ondata speculativa che li ha colpiti.«L'importante è concludere: se ci sono delle obiezioni bisogna farle con il confronto e non per via epistolare. Si chiudano in una stanza e vadano avanti finché non trovano una soluzione», criticando la strategia del governo Renzi che finora si è limitato all'invio di missive alle istituzioni comunitarie. Ma che cosa vogliono veramente da quasi due anni l'Abi e il ministro Padoan: creare un veicolo che rilevi i crediti inesigibili delle banche consentendo loro di liberare capitale immobilizzato per far fronte ai debitori che non restituiscono i prestiti.Le sofferenze lorde a fine novembre ammontavano a 201 miliardi di euro, con un incremento annuo dell'11 per cento. Il bubbone sale a circa 360 miliardi se si considerano anche le partite incagliate, cioè i clienti che hanno saltato una rata del mutuo o pagano sistematicamente in ritardo. Ma ci sono due altri numeri che bisogna guardare osservando il rapporto mensile dell'Abi che elabora i dati di Bankitalia: gli 88,9 miliardi di sofferenze nette e la loro incidenza del 22% su capitale e riserve. Questo significa che oltre un quinto del patrimonio bancario è eroso dai crediti andati all'aceto. In secondo luogo, questo significa che su quei 201 miliardi di cui sopra gli istituti contano di recuperare, dopo gli accantonamenti e le svalutazioni effettuate, 89 miliardi rappresentati dalle garanzie reali sui prestiti, cioè immobili, macchinari e beni in magazzino. Cioè i manager italiani valutano di poter rientrare del 44% almeno del fido non restituito. Percentuale che per i grandi gruppi come Intesa, Unicredit e Mps si avvicina al 50% viste le coperture sui non performing loans alla fine di settembre.La Bce, che ha gettato nel panico i mercati, sta ufficialmente cercando di capire se le banche europee (e italiane in particolare) siano in grado di tener fede a quanto dichiarato dotandosi di strutture adeguate per il recupero dei crediti. Dall'altro lato, il ministro dell'Economia Padoan sta cercando di convincere la Commissione e l'Eurotower che quel 44% sia un giusto valore per cedere le sofferenze a un veicolo pubblico-privato. Ed è su questo punto che i nostri interlocutori non ci ascoltano.Un esempio è rappresentato dal salvataggio di Banca Etruria e degli altri tre istituti locali: la bad bank unica partecipata dal Fondo di risoluzione ha acquistato le sofferenze al 17% del loro valore per 1,5 miliardi e, dunque, potrebbe lucrare sul loro eventuale recupero. Ma questo è un caso particolare: se il sistema-Italia cedesse a quel prezzo, come vorrebbe Bruxelles, nei conti delle banche si aprirebbe una voragine da una cinquantina di miliardi da ripianare ricorrendo ai soci (se non addirittura al bail-in). Allo stesso modo, potrebbe non essere una coincidenza che il finanziere renziano Davide Serra abbia acquistato un portafoglio di sofferenze italiane di Deutsche Bank al 40% circa del loro valore.

Qualcuno dovrà pur dare il buon esempio.

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