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A Bali la legge contro cinesi e cafoni: "Alla larga dai nostri luoghi sacri"

L'isola valuta la stretta contro il turismo «povero» e irrispettoso

A Bali la legge contro cinesi e cafoni: "Alla larga dai nostri luoghi sacri"

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la foto di un turista danese seduto sul santuario di Linggih Padmasana, nel tempio di Puhur Luhur Batukaru, Bali. Il ragazzo ha pensato bene di accomodarsi sul trono dedicato alla principale divinità dell'induismo balinese. Inutile dire che le autorità della più famosa isola indonesiana l'hanno presa come un'offesa irreparabile. E questo è solo l'ultimo episodio di una lunga serie di «incidenti»: visitatori in costume nei luoghi sacri, intrepidi che fanno arrampicata sulle pareti dei templi, eserciti di selfisti ovunque. Così il governo balinese ha deciso di prendere provvedimenti: vietato posare in bikini nei luoghi sacri e vietato l'ingresso tout court a chi non è accompagnato da una guida. Anche le autorità hindu sono intervenute, chiedendo alla polizia di indagare su alcuni episodi.

Con l'avvento del turismo di massa, nell'isolotto paradisiaco punteggiato da risaie e boschi verdissimi, Bali ha paura di rovinarsi la reputazione, favorendo una clientela «di bassa qualità» e scoraggiando il turismo di alto profilo, che frutta molto di più. L'anno scorso l'isola è stata meta di 5 milioni di visitatori, e per la prima volta i cinesi hanno superato gli australiani, primi scopritori della perla indonesiana già negli anni Settanta. Anche questo, denunciano ora le autorità locali, ha contribuito a questo declino generale. Secondo l'Agenzia per il turismo, circa il 70% degli 1,4 milioni di turisti provenienti dal Paese del Dragone nel 2017 è arrivata grazie ai cosiddetti zero dollar tour, che vanno forte in tutte le mete cinesi del Sud-Est asiatico, comprese Thailandia e Vietnam. Si tratta di pacchetti a prezzi super stracciati comprensivi di volo, trasporti, alloggio, pasti e guida/interprete. La fregatura sta nel fatto che le comitive vengono portate - talvolta obbligate - a mangiare e fare shopping in negozi cinesi, o comunque legati ai tour operator cinesi che hanno organizzato il viaggio. L'ente per il turismo l'ha definita una percentuale «molto allarmante». Il problema è che il denaro speso da questi turisti se ne torna direttamente in Cina, dato che i ristoranti e i negozi di souvenir in cui vengono portati fanno capo alla madrepatria. Alcuni di questi bazar sono addirittura vietati ai turisti di altre nazionalità e a chi è sprovvisto del badge della comitiva. I pagamenti, infine, vengono spesso fatti attraverso l'app cinese WeChat Pay: i soldi non transitano nemmeno dall'Indonesia ma vanno - o, meglio, restano - direttamente in Cina. Anche su questo aspetto il governo balinese ha intenzione di intervenire, come ha già fatto la Thailandia.

La lotta al turismo cheap e senza regole nel paradiso dei vacanzieri è appena cominciata.

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