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Bankitalia si sveglia tardi: basta bond subordinati

Il direttore generale Rossi scarica sul Parlamento: "Serve una legge per vietare la vendita allo sportello". Ma 10 anni fa non intervenne sui casi Cirio e Argentina

Bankitalia si sveglia tardi: basta bond subordinati

Salvatore Rossi è da una vita in Banca d'Italia. Ha vissuto l'epoca dei Cirio bond e dei bond argentini. Della polemica e braccio di ferro di dieci anni fa con il Tesoro sulla vendita retail di prodotti finanziari «a rischio». Ed ora va in tv a dire che «è urgente che venga vietata la vendita, per legge, al pubblico» di prodotti finanziari come le obbligazioni subordinate. Davanti alle telecamere di In 1/2 h, Rossi sottolinea che «è da un anno intero che abbiamo chiesto in audizioni e in interventi pubblici una legge per vietare la vendita allo sportello di obbligazioni subordinate». Ma a volte - rimarca - «la nostra voce è stata flebile». Eppure, Cirio bond e bond argentini, come rischiosità, non erano diversi dalle obbligazioni subordinate della Banca Etruria o della BancaMarche. Dieci anni fa, però, da Via Nazionale non una parola sull'argomento. Anzi. Ora però il direttore generale della Banca d'Italia vuole che sia una legge ad obbligare il divieto della vendita. Come se la Banca d'Italia non avesse, con la Vigilanza, la possibilità di bloccare la vendita di prodotti del genere. Ora è meglio dirsi «angosciati», come fa Rossi, per la crisi delle 4 banche che ha colpito 10mila risparmiatori. Con implicita autoassoluzione. Secondo il numero due di Via Nazionale, Bankitalia ha fatto «il meglio possibile» per evitare che venissero bruciati i risparmi degli obbligazionisti. Ed altrettanto ha fatto - dice Rossi - la Consob. Fatto sta, che gli obbligazionisti (per i quali Rossi dice che Bankitalia ha fatto il meglio possibile) hanno perso tutti i loro risparmi. Il direttore generale, poi, riconosce che solo «negli ultimi 3-4 anni» Banca d'Italia ha rafforzato la tutela dei risparmiatori. E che prima, la banca centrale ha agito «con timidezza». In qualunque caso, benché l'intera vicenda abbia aspetti «drammatici», le quattro banche «rappresentano l'1% dei depositi». Insomma, non sono rappresentative dello stato di salute del sistema creditizio del Paese. Eppoi, aggiunge, «per la Banca Etruria, come per le altre, è stato impossibile trovare soluzioni di mercato». Cioè, nessun altro istituto si è mostrato disposto ad accollarsi la situazione finanziaria delle banche «salvate».Una formula che denuncia come la banca centrale abbia sondato il mercato e che alla fine abbia deciso che la soluzione migliore per il sistema era quella individuata con il decreto legge del governo. Provvedimento che chiama in causa l'intero mondo del credito a sostegno delle 4 banche. Un sostegno che si traduce - come scritto nell'emendamento alla legge di Stabilità che assorbe il decreto legge - in un anticipo delle quote delle banche al Fondo interbancario ed uno sconto Ires consistente per i prossimi anni. Tutto pur di evitare di utilizzarle nel «salvataggio» del Fondo interbancario. Fondo che verrà comunque utilizzato per alimentare il serbatoio finanziario dal quale dovrebbero uscire i 100 milioni a parziale ristoro degli obbligazionisti subordinati.Salvatore Rossi, poi, sembra accogliere con favore l'istituzione di una commissione d'indagine parlamentare sull'argomento. Rappresenterà - dice - «l'occasione per chiarire». La Banca d'Italia «non ha paura».

Ed il Parlamento rappresenterà la sede migliore per accertare eventuali responsabilità nel fallimento di Banca Etruria, CariChieti, Banca Marche e CariFe.

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