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Bankitalia taglia il Pil allo 0,6% "Paese in recessione tecnica"

Batosta da via Nazionale, ribassate le stime di crescita Colpa del calo dei consumi e degli scarsi investimenti

Bankitalia taglia il Pil allo 0,6% "Paese in recessione tecnica"

L a botta è pesante, le previsioni di Bankitalia sono fosche, la parola impronunciabile è stata messa nero su bianco: «recessione», sia pur «tecnica». La crescita nel 2019, che la prima mirabolante stesura della manovra fissava al 1,5% e che successivamente, con molta fatica e su pressing della Commissione europea, è stata decurtata nel testo definitivo all'1%, viene più realisticamente vista dalla Banca d'Italia allo 0,6%: praticamente dimezzata.

A Palazzo Chigi - dove evitano i commenti - se lo aspettavano: ovviamente il governo viene informato in anticipo dei contenuti del bollettino economico che l'istituto di via Nazionale si accinge a pubblicare. La batosta, che smentisce tutti i giulivi proclami di ottimismo dell'esecutivo Conte, era quindi prevista. E spiega perché Matteo Salvini e Luigi Di Maio abbiano avuto la necessità, giovedì, di chiudere in quattro e quattr'otto la partita del «decretone» sulle loro bandierine elettorali, reddito di cittadinanza e quota 100, superando le loro divergenze politiche, i forti dubbi dei tecnici del Tesoro e ingoiando anche le «clausole di salvaguardia» inserite nel testo. Tutto, pur di poter tenere quella conferenza stampa - comizio, in diretta tv - prima che il triste verdetto di Bankitalia svuotasse di significato le loro mirabolanti promesse.

Ieri, invece, è arrivata la doccia gelata. «In Italia - scrivono gli analisti di via Nazionale - dopo che la crescita si era interrotta nel terzo trimestre, gli indicatori congiunturali disponibili suggeriscono che l'attività potrebbe essere ancora diminuita nel quarto»: quindi entreremmo in quella che si chiama «recessione tecnica». All'indebolimento dei mesi estivi «ha contribuito la riduzione della domanda interna, in particolare degli investimenti e, in misura minore, della spesa delle famiglie». Nessuna buona notizia sul fronte dei consumi che - dopo il calo dello 0,1 per cento nel terzo trimestre - anche nei mesi finali dell'anno ormai passato sono attesi deboli.

Alla revisione al ribasso della crescita, spiega il Bollettino economico pubblicato ieri, concorrono «dati più sfavorevoli sull'attività economica osservati nell'ultima parte del 2018, che hanno ridotto la crescita già acquisita per la media di quest'anno di 0,2 punti; il ridimensionamento dei piani di investimento delle imprese che risulta dagli ultimi sondaggi; le prospettive di rallentamento del commercio mondiale». Ulteriori rischi sono legati, si avverte, «all'eventualità di un nuovo rialzo dei rendimenti sovrani, a un più rapido deterioramento delle condizioni di finanziamento del settore privato e a un ulteriore rallentamento della propensione a investire delle imprese». Mentre «un più accentuato rientro delle tensioni sui rendimenti dei titoli di Stato potrebbe invece favorire ritmi di crescita più elevati».

C'è una memorabile scena di The West Wing, la straordinaria serie tv sulla presidenza Usa firmata da Aaron Sorkin, che fa capire quanto la parola «recessione» sia il sacro terrore di qualsiasi governo: durante una riunione di collaboratori del presidente, un consigliere economico dice: «Se l'economia entrasse in recessione...», e subito il vice capo dello staff lo blocca atterrito: «No, no, no! Non usiamo mai quella parola, qui». «E allora come la chiamo?», chiede quello smarrito. Finisce che la chiamano «bagel», il panino a ciambella yiddish, con ovvi effetti comici. Pochi giorni fa il fantasioso Luigi Di Maio, invece, l'ha chiamata «boom»: «Col nostro governo l'Italia è alla vigilia di un nuovo boom economico», ha annunciato.

Gigino dice «boom», i personaggi di Sorkin «bagel», Bankitalia dice: «Recessione».

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