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La Bce alza il tiro contro il calo dei prezzi

Se l'inflazione abbasserà ancora la testa «intensificheremo la pressione e amplieremo ancora di più i canali attraverso i quali intervenire, modificando di conseguenza le dimensioni, il ritmo e la composizione dei nostri acquisti». Il dado è tratto? Davvero Mario Draghi ha superato il suo Rubicone, aprendo la strada all'acquisto di titoli di Stato (e non solo)? Dalle parole pronunciate ieri a Francoforte dal presidente della Bce, si direbbe che le sfumature di grigio sono ormai quasi ridotte a zero. Stop ai rebus interpretativi, basta con quel «cogli la differenza» da Settimana Enigmistica che scatenava ogni suo intervento: questa volta la sterzata è apparsa troppo netta, soprattutto agli occhi dei mercati. E proprio lì, sulla scommessa che già in dicembre verrà impacchettato il quantitative easing in salsa europea, si è messa in moto ieri la giostra dell'ottimismo, con le Borse subissate dagli acquisti (+3,88% Milano, la migliore), lo spread Btp-Bund scivolato a quota 145 punti, i rendimenti sul decennale schiacciati al minimo storico del 2,21% e l'euro ricacciato sotto gli 1,24 dollari, il livello minimo da ben 27 mesi.

È un ottimismo che, paradossalmente, si nutre delle vulnerabilità dell'Eurozona, a un soffio dalla deflazione e con una crescita più sfuggente di un'anguilla. «Una ripresa più forte è improbabile nei prossimi mesi», ha chiarito Draghi, scettico anche sulla possibilità di riuscire ad agganciarla nel 2015. Del resto, «la situazione economica dell'area euro resta difficile», «la fiducia nelle prospettive economiche è fragile e indubbiamente non omogenea, alimentata dai bassi investimenti». Un quadro preoccupante. Ma proprio queste debolezze, finora resistenti agli antibiotici iniettati dalla Bce (tassi a zero, prestiti Tltro, acquisto di bond garantiti) rendono sempre più probabile una radicalizzazione delle misure di contrasto.

Mai, in passato, Draghi era parso così esplicito nell'indicare come intende muoversi. Dopo aver detto nelle scorse settimane di voler espandere di 1.000 miliardi il bilancio dell'Eurotower, riportandolo così ai livelli del 2012, ecco delinearsi nelle sue ultime dichiarazioni i contorni dell'intervento: uno spostamento degli investimenti da asset a basso rischio verso quelli a rischio maggiore, tra cui vengono inseriti - come citato dallo stesso Draghi - anche titoli azionari e, potenzialmente, perfino il mercato immobiliare. Non solo, quindi, lo shopping di bond sovrani, ma un intervento ad amplissimo spettro in cui, con ogni probabilità, verranno accettati in garanzia anche titoli non proprio da tripla A. È un intero arsenale che viene dispiegato sulla falsariga di quanto già fatto dalla Bank of Japan per rilanciare l'economia e ridare un po' di colore all'inflazione. Senza grande successo, visto che nel terzo trimestre il Paese del Sol levante è ricaduto in recessione.

Questo per dire che non esiste una ricetta sicura contro la crisi. E le tensioni all'interno del board Bce, esacerbatesi negli ultimi mesi, stanno proprio a significare una diversa visione nella gestione dell'emergenza. Ieri, il capo della Bundesbank, Jens Weidmann, ha parlato dopo Draghi, ma solo di banche.

Nessun cenno alle scelte di politica monetaria. Un silenzio assenso, o il preludio dello scontro finale?

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