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Bellotto e lo zio Canaletto Sfida a colpi di paesaggio tra i parenti star del '700

A Milano in mostra alle Gallerie d'Italia di Intesa Sanpaolo le opere dei due veneziani

Francesca Amé

Gli «arti-star» delle corti europee del Settecento erano due veneziani. Due assai capaci con la pittura di paesaggio e tra loro persino parenti: Antonio Canal detto «il Canaletto» (Venezia 1697-1768), zio di Bernardo Bellotto (Venezia 1722 - Varsavia 1780). La storia curiosa è che se oggi facciamo i loro nomi agli studiosi austriaci, polacchi e cechi e di quelle nazioni dell'Europa dell'Est che ancora conservano molte delle loro opere, potremmo essere fraintesi: da loro il «vero» Canaletto, il più raffinato e celebre dei due, è il Bellotto. Incredibile, vero? Il celebre critico italiano Roberto Longhi vedeva le cose diversamente: per lui Bellotto era il «poco meno grande nipote» del Canaletto (Antonio). Per dipanare i fili di questa affascinante vicenda ambientata nei fastosi palazzi settecenteschi d'Europa, vale la pena andare a Milano e visitare con calma la mostra «Bellotto e Canaletto. Lo stupore e la luce» (fino al 5 marzo, catalogo Silvana editoriale) alle Gallerie d'Italia di Intesa Sanpaolo di piazza della Scala.

Si tratta di un'esposizione realizzata grazie all'attenta curatela di Bozena Anna Kowalczyk, studiosa specialista del Settecento veneziano, in cui le Gallerie d'Italia riescono laddove le ultime mostre sui vedutisti, quella a Parigi e quella a Monaco, avevo fallito: esporre per la prima volta confronti inediti. Importanti infatti i prestiti dalla Gemaldegalerie Alte Meister di Dresda, dalle collezioni della Regina e del Duca di Northumberland, da Londra, Madrid e New York. Chi si aggiudica la sfida sulla miglior veduta, tra zio e nipote? «Non lo direi mai, non è questo il punto - dice la curatrice -. Tuttavia, possiamo dire che Canaletto, il nostro Canaletto, ha inventato il vedutismo grazie a particolari procedimenti espositivi che sfruttavano le teorie razionaliste e gli studi di ottica, costruendo le sue vedute in una gabbia prospettica. Il Bellotto, quando arriva nello studio dello zio, si trova già il lavoro fatto, ne intuisce la portata, capisce come far diventare monumentale e magnifico ogni paesaggio dipinto».

Tra le dieci sezioni in cui è suddivisa la mostra che conta su un centinaio di pezzi, spicca La Piazza San Marco del Bellotto, eseguita nel 1742 e proveniente dal Cleveland Museum: è un quadro enorme, lungo oltre due metri, il cui studio a raggi X ha permesso di capire la maniacale precisione dei disegni e dello studio della luce dell'artista veneziano. L'opera va messa a confronto con l'altra Piazza San Marco del Canaletto di soli dieci anni successiva, per secoli patrimonio di Alnwick Castle, nello Yorkshire: il lavoro del Bellotto risalta per profondità delle ombre e brillantezza luministica. Non si tratta tuttavia di una mostra squisitamente «veneziana» (sebbene, va detto, furono Canaletto e Bellotto a nutrire la «Venice passion» dei nobili inglesi di quel tempo): Kowalczyk dimostra come il Bellotto, poco più che ventenne, soggiornò almeno sei mesi a Milano, innamorandosi del verde della campagna, che studiava dalle parti di Vaprio e Gazzada, vicino a Varese, prima di recarsi a Torino e da lì a Londra, Varsavia o Dresda. La recente riscoperta dell'inventario di casa di Bellotto a Dresda ha permesso di conoscerne la straordinaria biblioteca, gettando una nuova luce sulla sua personalità: 28 dei 1078 volumi sono esposti alle Gallerie d'Italia e dimostrano perché Bellotto fosse giustamente considerato «il più europeo» degli artisti del suo tempo.

Fu uomo colto, osservatore curioso, attento ai progressi scientifici e anche artista modernamente pervaso da una sottile, inquieta malinconia.

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