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Berlusconi vara l'Altra Italia: "Il governo cadrà tra poco"

Il Cavaliere: «L'esecutivo è frutto di due minoranze» Il monito alla Lega: «Deve bloccare il decreto Di Maio»

Berlusconi vara l'Altra Italia: "Il governo cadrà tra poco"

L'applauso più scrosciante accompagna le parole di Silvio Berlusconi, quando si avvicina alla fine del discorso: «Io sarò con voi in questa battaglia. Sarò in campo perché lo considero un dovere morale verso il mio Paese». Il leader di Forza Italia annuncia a parlamentari, eurodeputati ed amministratori locali riuniti in assemblea «un nuovo inizio, una nuova discesa in campo».

Nell'auletta dei gruppi parlamentari della Camera a tutti viene distribuita la spilletta con il tricolore come sfondo al nome del partito. E lui, il Cavaliere, esorta: «Porto il distintivo di Fi con orgoglio. Fatelo anche voi, con lo stesso orgoglio». Il rilancio azzurro parte anche dai piccoli gesti, ma il leader sottolinea l'importanza delle nuove nomine, indica al suo fianco il vicepresidente che è il numero uno del Parlamento europeo e il nuovo coordinatore di Dipartimenti e Consulta. «Con Antonio Tajani - dice-, Fi ha scelto i moderati, i Popolari, gli europeisti che vogliono il cambiamento. Con Adriano Galliani ha scelto la competenza, la concretezza e l'esperienza di uno dei migliori manager che ho conosciuto in tanti anni di lavoro». Poi sottolinea il ricambio in atto sul territorio: «In questi giorni, con la preziosa collaborazione di Sestino Giacomoni, coordinatore dei coordinatori regionali, sto incontrando i nostri responsabili nelle regioni». Parla di «democrazia di base», delle assemblee d'autunno, incita ad organizzarsi, fare proposte, assumersi responsabilità.

Quando fa omaggio commosso a Sergio Marchionne, «esempio per tutti i nostri manager», la platea scatta in piedi. E il Cav dice: «La parola manager mi fa venire in mente ognuno di voi di Fi: è come se ci fossero 300 manager, preparati negli studi e nel lavoro». Appuntamento a settembre, per un nuovo incontro. Ma Berlusconi prima chiarisce la linea politica, senza fare sconti e distinguo. Per la «decisiva battaglia di libertà» indica il nemico: il governo gialloverde, che non è «scelto dagli italiani», ma nasce da «due minoranze», andate al voto su fronti alternativi, il cui successo elettorale non è basato su un unico programma. Ora oscilla tra «due idee opposte del futuro dell'Italia», ma prevale la connotazione grillina, legata alla vecchia sinistra. Un governo di «sessantottini in ritardo, arroganti e ignoranti», insomma. La sua azione «fin qui è stata di assoluta mediocrità e nei prossimi mesi è destinata a peggiorare». Non capisce che le grandi opere sono condizione per la crescita, né ha il «coraggio di dire se sta con la polizia o con i no-Tav».

Dopo il nemico, ecco la prospettiva, vicina. Il patto M5s-Lega, «nel giro di pochi mesi, non si arriva a un anno, finirà». Perché «per attuare le pericolose promesse dei grillini bisognerà sfasciare l'equilibrio dei conti pubblici, oppure imporre nuove tasse». Allora, «la bolla di consenso che oggi accompagna i partiti di governo si sgonfierà velocemente». Per il Cav, «quello sarà il nostro momento, il momento di ridare una casa politica, a quella che mi piace chiamare l'altra Italia». Perché, non è certo il Pd che può opporsi al «pauperismo e giustizialismo» del M5s.

Arriva il richiamo alla Lega: «Spero che se ne renda conto in tempo, ricostituendo anche a livello nazionale quell'alleanza di centrodestra che è la maggioranza naturale degli italiani». Il banco di prova è il decreto dignità di Di Maio, che tradisce la «peggiore ideologia della vecchia sinistra, quella anti-industriale, statalista, nemica dei produttori». Il leader azzurro rivolge a Matteo Salvini «un accorato appello per bloccare queste norme, in nome delle aziende, dei produttori, dei lavoratori, degli artigiani, dei commercianti, degli agricoltori, che non hanno davvero bisogno di altre difficoltà da aggiungere alle tante con cui combattono ogni giorno». La sfida è stata lanciata e Berlusconi avverte l'alleato che anche sull'immigrazione «la fermezza contro gli sbarchi non è sufficiente, che alzare la voce in Europa è giusto solo se si trovano alleati». E conclude: «Questa Europa non ci piace.

Ma vogliamo cambiarla perché è la nostra famiglia».

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