Politica

Bersani sgambetta Renzi su Italicum e Jobs Act

L'ex segretario guida gli anti Matteo: «Non voterò la legge elettorale e la riforma del lavoro è incostituzionale». Nasce la corrente dei fedelissimi del premier: cento parlamentari

Da un lato la fronda in agitazione, che minaccia rappresaglie anti-Renzi su tutti i fronti: dalla Rai all'Italicum al decreto Popolari, su cui anche Fassina& Co. fanno piovere emendamenti. Fino alla diserzione della riunione dei parlamentari convocati da Renzi, annunciata da Bersani e imitato da molti altri della minoranza Pd: «Non ci sto a fare il figurante», tuona l'ex segretario deciso a riprendersi almeno la leadership degli anti Renzi. Dall'altro il corpaccione renziano nel Pd che si organizza, si rafforza e allarga la base parlamentare pro premier, come si intuiva mercoledì sera all'affollata prima assemblea di «Spazio democratico», il neonato «correntone» filo-Matteo. E lo stesso Renzi replica direttamente agli oppositori: «Nessuno ha la verità in tasca e nessuno vuole ricominciare con i caminetti ristretti vecchia maniera: noi siamo per il confronto, sempre».

Insomma, il Pd è squassato da spinte contrapposte e da curiosi ribaltamenti di fronte: ora, per esempio, è la minoranza a sperare ardentemente di poter siglare un «patto» con Silvio Berlusconi per riuscire ad affossare la nuova legge elettorale. L'Italicum tornerà prima dell'estate a Montecitorio, e il premier vuole che sia la lettura definitiva (l'Italia è l'unico paese occidentale privo di legge elettorale). La minoranza - terrorizzata dalla possibile decimazione - vuole bloccarla, e lo stesso Bersani va annunciando in giro: «Io quel pasticcio non lo voterò mai». E anche sul Jobs Act attacca: «Fuori dall'ordinamento costituzionale». Ma i voti della fronda non bastano, e sulla legge elettorale la speranza è riposta nella Boldrini (che può assicurare copertura ai franchi tiratori col voto segreto) e soprattutto in Berlusconi, che i messi della sinistra stanno cercando, per vie traverse, di convincere a rinunciare ai capilista bloccati e far saltare l'Italicum.

In questo clima è nata l'iniziativa di un gruppo di renziani doc come Delrio, Richetti e Rughetti: non una corrente, giurano (anche perché Renzi di correnti non vuol sentir parlare: «Ce ne sono troppe, e le correnti non le fa la maggioranza in un partito»), ma un «laboratorio di idee». E certo non un raggruppamento «catto-renziano», come qualcuno l'ha bollato. Le adesioni, spiegano, sono arrivate da ogni parte: ex Scelta civica come Maran e Romano, ex dalemiani come Agostini e Tidei, veltroniani come Verini e Morassut, cattolici democratici come Bazoli e Senaldi, ex bindiani, ex lettiani, ex Ppi come Fioroni, ma anche i fuoriusciti di Sel. In tutto, calcolano, più di un centinaio di parlamentari. Dal Piemonte, anche Sergio Chiamparino benedice - con un filo d'ironia - la «intelligente operazione neo-morotea». A dare il segnale della non ostilità renziana - ma anche a depotenziare l'idea che si tratti di una corrente - erano presenti alla riunione anche i numeri due del premier-segretario, Luca Lotti e Lorenzo Guerini. Nel dibattito si è respirata la tensione che si vive nei gruppi parlamentari rispetto alla costante fronda anti governo della minoranza Pd. Malumore renziano verso il capogruppo, Roberto Speranza: «È la prima volta che alza la voce in un'intervista, e guarda caso lo fa contro il governo», ha denunciato un deputato. «Ha mai alzato la voce tutte le volte in cui la minoranza hanno votato contro le indicazioni del gruppo? Strano modo di fare il capogruppo».

di Laura Cesaretti

Roma

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