Cronache

In bianco, nero e mascherata Il surrealismo austero di Dior

La "furia italiana" di Maria Grazia Chiuri, che si ispira a Leonor Fini per disegnare abiti che riflettono magia

In bianco, nero e mascherata Il surrealismo austero di Dior

Parigi - «Una furia italiana a Parigi» dice un'elegante signora francese uscendo dal fantasmagorico tendone nel giardino del museo Rodin in cui Maria Grazia Chiuri ha appena fatto sfilare l'alta moda di Dior per la prossima primavera-estate. «Parla di lei» pensi guardando in cagnesco la signora che intanto dribbla con le sue scarpette di satin le pozzanghere fangose sul percorso. Invece Madame oltre a sapersi vestire e muovere conosce bene Leonor Fini, musa ispiratrice di questa potente collezione in quanto artista, costumista e sceneggiatrice legata al movimento surrealista. Max Ernst la definiva «una furia italiana a Parigi», Christian Dior vendeva le sue opere, André Breton la cita nel film Le chien andalou mentre Federico Fellini le avrebbe proprio chiesto aiuto per la sceneggiatura di 8 e mezzo.

Insomma una donna straordinaria che costruiva la sua immagine come un'opera d'arte e che oggi sarebbe una delle più grandi influencer del web grazie ai suoi principi tipo: «Non c'è niente di più falso dell'essere naturali» oppure «Le maschere non nascondono ma rivelano come sei». Da qui l'idea delle maschere al contrario che la Chiuri ha fatto realizzare da Stephen Jones ma soprattutto degli abiti che non sono mai quel che sembrano. Le pieghe diventano pagine di un libro, le righe s'inseguono, fanno un giro strano e poi ritornano lì dove devono essere in un magico studio prospettico da atelier.

C'è un tailleur da giorno nero che visto da davanti è dritto e lineare, con la gonna leggermente svasata. Invece sul fianco sinistro ha una teoria di piegoline segrete che , non si sa come, slanciano moltissimo la figura. Il 70 per cento dei capi è in bianco e nero, «i colori del subconscio» dice la Chiuri che stavolta ha sperimentato cose ai confini della realtà come la rete di crinolina che forma una specie di gabbia sul corpo al posto del bustier oppure come l'incredibile rete metallica che riproduce alla perfezione un torso nudo femminile allo specchio. Insomma un gran bello spettacolo di moda nella stessa sala piena di simboli surrealisti dove poi ieri sera si è svolto un grande ballo in maschera.

Eppure le voci impazzano su questa brava designer che viene chiamata «L'italienne» come a suo tempo accadde a Elsa Schiaparelli. Al suo posto fino a due giorni fa veniva dato per certo Hedi Slimane che invece il Gruppo LVMH ha appena nominato direttore artistico di Celine con l'estensione del brand all'uomo, all'alta moda e ai profumi. Adesso si riapre il toto-Dior, ma intanto lei con l'intelligenza che la contraddistingue ha dichiarato: «Sono contenta che torni nel Gruppo un simile talento, le persone talentuose vanno bene sempre, arricchiscono».

Darle ragione è inevitabile anche e soprattutto dopo aver visto l'egregio lavoro che ha fatto con i suoi soli mezzi Antonio Grimaldi, uno dei pochi designer che merita a pieno titolo il nome di couturier. «Sfilare a Parigi è un sacrificio enorme, ma adesso so che sono nel posto giusto» dice poco prima di far sfilare i suoi 33 modelli ispirati da un viaggio in Cambogia e Vietnam con un'onirica visione delle donne-soldato in salopette verde ricamata da micro cristalli dorati che poi diventano come i templi di Angkor Wat al tramonto con le statue d'oro rosa inglobate nella foresta. Tutt'altra atmosfera nella pre collezione di Miu Miu presentata in forma statica. I portavoce della maison parlano di una ragazza borghese e ribelle con le gonne a palloncino, il montgomery in tartan Black Watch, perle e diamanti come se piovesse e tanta maglieria. A noi pareva di rivedere Lady Diana.

Prima che Versace le spiegasse di cosa parliano quando parliamo di stile.

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