Guerra in Israele

Bibi perde consensi, la guerra no

Gantz contro il premier: "Al voto". Proteste alla Knesset, ma il Paese vuole la fine di Hamas

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«Elezioni a settembre, a circa un anno dal conflitto». Le chiede per la prima volta Benny Gantz, il leader di «Unità nazionale» entrato nel Gabinetto di guerra israeliano dopo il 7 ottobre e che secondo i sondaggi sarebbe il sostituto ideale di Benjamin Netanyahu. L'uscita dell'ex leader dell'opposizione, che sostiene di averne parlato con il premier, è la prova di come stia crescendo l'insofferenza nei confronti del primo ministro Benjamin Netanyahu, mentre resta invece altissima la fiducia nell'Esercito. Non a caso Gantz, volato a inizio marzo negli Stati Uniti senza concordare la visita con il premier, fra le ragioni della sua richiesta cita la necessità di «mantenere l'unità», «rinnovare la fiducia» nell'esecutivo e «fornire a Israele legittimità internazionale», in modo da «consentire di continuare lo sforzo militare».

L'idea di elezioni anticipate è stata finora bocciata da Netanyahu e il Likud, il partito del premier, ha ribadito che il governo resterà in carica «fino a quando tutti gli obiettivi della guerra non saranno raggiunti». Ma gli ultimi giorni hanno messo sempre più a nudo le fragilità del premier, la cui sopravvivenza è legata al proseguimento del conflitto. «È un disastro che sia rimasto al potere», dice di «Bibi» l'attuale capo dell'opposizione Yair Lapid, leader del partito centrista Yesh Atid (C'è un futuro), che ha spiegato come il suo cuore sia «con le famiglie dei manifestanti» che da settimane, e da qualche giorno in maniera più intensa, protestano contro il primo ministro, chiedendone le dimissioni per il flop sulla sicurezza che ha portato alla strage di Hamas e per come sta gestendo ora il conflitto e soprattutto le trattative sugli ostaggi. «In nessun altro Paese al mondo il governo sarebbe rimasto al potere dopo il 7 ottobre», ha spiegato Lapid, che soffia anche lui su nuove elezioni.

Alla Knesset, il Parlamento israeliano, una nuova contestazione ha visto protagonisti ieri attivisti anti-premier e parenti degli ostaggi, che hanno imbrattato con le mani dipinte di giallo la galleria dei visitatori, per poi essere scortati fuori dall'Aula. La sera prima, alcuni manifestanti hanno sfondato i cordoni della sicurezza raggiungendo l'ingresso della casa di Netanyahu a Gerusalemme, dove anche Ayala Metzger, nuora dell'ostaggio Yoram Metzger, è stata trascinata via a forza dalla polizia. Una circostanza che ha spinto il capo dello Shin Bet, l'intelligence interna, a lanciare l'allarme violenza, «una tendenza preoccupante che potrebbe portare a situazioni pericolose nelle quali non dobbiamo finire», ha detto Ronen Bar. «Legge e regole vanno rispettate. Non dobbiamo tornare al 6 ottobre», ha aggiunto Gantz, riferendosi alla frattura sulla riforma della giustizia che ha lacerato l'opinione pubblica prima della strage e distratto Israele dal tema sicurezza.

Eppure la guerra a Gaza sta portando proprio alla congiuntura fra chi era già e sempre più ostile a Netanyahu prima del 7/10 e chi oggi non condivide la gestione del conflitto e del dossier ostaggi, ormai quasi un centinaio a Gaza da 181 giorni senza che si veda - letteralmente - la luce fuori dal tunnel.

Che le proteste siano contro il premier e non contro il conflitto per sconfiggere Hamas lo hanno rilevato ormai diversi sondaggi, tra cui una serie condotti a metà marzo dall'Istituto per la democrazia israeliana. Il 75% degli israeliani è a favore anche di uno degli scenari considerati fra i peggiori dalla comunità internazionale: l'invasione di terra della città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. La fiducia nelle Forze Armate israeliane, che stanno conducendo il conflitto sul terreno, raggiunge picchi dell'86,5%.

A finire sul banco degli imputati sono dunque le prestazioni del capo del governo considerate «scarse o molto scarse» dal 57% degli intervistati e che si traducono in una perdita di consenso per il Likud, il partito del premier.

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