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Il bluff del governo sulla missione italiana per la diga di Mosul

Un mese fa l'annuncio a effetto del premier Renzi sull'uso dei nostri militari a difesa dell'infrastruttura Che rischia invece di rivelarsi un flop

Il bluff del governo sulla missione italiana per la diga di Mosul

L'annuncio ad effetto, prima di Natale, del premier Matteo Renzi, sulla missione italiana in Iraq per difendere la diga di Mosul rischia di trasformarsi nell'ennesimo buco nell'acqua, questa volta tragico e pericoloso. Una parte del governo iracheno non ci vuole e la ditta italiana, che si è offerta per la ristrutturazione non ha ancora chiuso l'accordo. La Casa Bianca, però, ha lanciato l'allarme, come rivela il New York Times nell'edizione di ieri, che senza interventi urgenti la diga potrebbe crollare inondando mezzo Iraq e provocando 500mila morti oltre ad un milione di senza tetto.

Il periodo più a rischio è la primavera quando il fiume Tigri si ingrossa grazie alle piogge e allo scioglimento delle nevi a nord. Peccato che il nostro intervento, sbandierato da Palazzo Chigi, rischia di partire troppo tardi, fra maggio e giugno.Il 15 dicembre Renzi annunciava che la diga di Mosul «è seriamente danneggiata e se crollasse Baghdad sarebbe distrutta. L'appalto è stato vinto da un'azienda italiana, noi metteremo 450 nostri uomini insieme agli americani e la sistemeremo». Pochi giorni dopo cominciava a venir smentito dal presidente della Commissione Difesa del Parlamento iracheno, Hakim Zamili, che bollava come «irragionevole e illogico» il dispiegamento dei militari italiani sulla diga in mano ai curdi e non a Baghdad. Zamili fa parte della fazione di Moqtada al Sadr, il partito sciita che con i suoi guerriglieri ci diede filo da torcere durante la missione a Nassiryah nel 2004 con la furiosa battaglia dei ponti.Il 20 dicembre, il ministro delle risorse idriche, Mushsin Al Shammary, aveva ribadito all'ambasciatore italiano, Marco Carnelos, che l'Iraq «non ha bisogno di alcuna forza straniera per proteggere il suo territorio, i suoi impianti e la gente che ci lavora».

Anche lui è un uomo di Sadr, ma con l'aggravante di avere voce in capitolo sulla gara per la ristrutturazione della diga. Ieri il New York Times ha confermato che nonostante gli annunci di Renzi «i negoziati» sulla salvezza della diga «compresi gli accordi per la sicurezza devono ancora essere completati». L'ambasciatore iracheno negli Usa, Lukman Faily, ha garantito che «il governo iracheno continuerà i negoziati ed incontrerà i rappresentanti della ditta italiana questa settimana».Però Mahdi Rasheed, consigliere del ministro Shammary, ribadisce al New York Times che «non c'è bisogno delle forze italiane per proteggere la diga». Il nostro governo è in stallo se non già sprofondato in un vicolo cieco.Non a caso, secondo il quotidiano Usa, il presidente americano, Barack Obama, ha chiamato mercoledì scorso al telefono il premier iracheno, Haiydar al Abadi, per parlare dell'allarmante situazione della diga di Mosul.Gli americani hanno piazzato 92 sensori sulla ciclopica costruzione, che sta sprofondando nel terreno. Prima dell'assalto delle bandiere nere nell'estate del 2014 ben 600 iracheni svolgevano lavori di mantenimento tre volte al giorno. Dopo la battaglia, che ha portato alla riconquista della diga, oggi presidiata dai peshmerga curdi, gran parte delle maestranze non sono tornate a lavorare. Il rischio, secondo il Pentagono, è che la diga crolli.

Gli esperti indicano come periodo di massimo pericolo la primavera con l'ingrossamento del Tigri. Per questo la ditta Trevi dovrebbe essere già sul posto con la pesante cornice di sicurezza prevista da Roma. Al momento sono stati effettuati i sopralluoghi dei nostri corpi speciali per rendersi conto della fattibilità del piano, che prevederebbe l'invio di carri armati della brigata Garibaldi e addirittura un reparto di artiglieria. Un dispiegamento possente per un lavoro da «contractor» a difesa della società italiana, se mai chiuderà definitivamente l'accordo con il governo iracheno.Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, aveva indicato la primavera come data per il dispiegamento.

Fonti militari più realistiche parlano invece di maggio-giugno, ma al momento è tutto fermo grazie alla levata di scudi politica di una fetta del governo iracheno legata a Moqtada al Sadr.

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