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Le brutte previsioni sul Pil che il governo non vuol sentire

Bankitalia ha tagliato le stime: lo faceva anche con Renzi Chi le gonfia sempre, invece, è proprio l'esecutivo

Le brutte previsioni sul Pil che il governo non vuol sentire

Il tema delle previsioni economiche si scalda periodicamente. L'ultima diatriba è tra il vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio con Banca d'Italia e Fondo Monetario Internazionale. Entrambi gli organismi, tramite i loro uffici studi, hanno appena rivisto al ribasso le stime di crescita del Pil per il 2019.

Il che non garba a Di Maio. Al punto da sostenere che «sono diversi anni che la Banca d'Italia non ci prende nelle stime che fa, solo che è strano: quando c'erano quelli di prima le stime erano al rialzo, adesso addirittura fanno stime al ribasso». E ancora: «È il Fmi che è una minaccia per l'economia mondiale, una storia di ricette economiche coronata da previsioni errate, pochi successi e molti disastri». Ma come stanno le cose, nella realtà?

Di Maio dice una cosa tanto vera quanto banale: le stime puntuali di Bankitalia, Fmi e di tutti gli altri centri di ricerca non sono mai esatte. Basta un dato: tra il 2008 e il 2013 il Pil reale è risultato mediamente più basso dell'1,4% rispetto al dato inizialmente previsto dalla Ue. Ma tutto questo è normale: «La bontà di una previsione economica - come spiega al Giornale il direttore del Centro Studi Confindustria Andrea Montanino - è data dalla tendenza che mostra, non dal valore puntuale. Questo rappresenta una sintesi che ci dice se siamo di fronte a un rallentamento o a un'accelerazione a seconda dei diversi fattori che la determinano. Il numero sarà poi inevitabilmente sbagliato. Ma la tendenza che esprime, no». Montanino - che fornirà le stime di Confindustria sul Pil il 27 marzo - aggiunge anche che «le previsioni si fanno sulla base delle informazioni che si hanno in un dato momento. Nel corso del tempo è quindi normale affinarle». Questo per dire che le attuali correzioni sulla previsione del Pil 2019, sono dovute all'analisi dei fenomeni recenti a cui stiamo assistendo, quali la guerra dei dazi, il rallentamento cinese, l'incertezza sulla Brexit. Il che è poi quello che puntualmente ha fatto Bankitalia nel periodo 2014-2015, quando le stime della crescita (i governi erano quelli di Matteo Renzi) sono state periodicamente riviste al ribasso. Esattamente come sta avvenendo adesso.

Quello che poi non tiene, nel j'accuse del leader Cinque Stelle, è che se c'è un soggetto che tende a gonfiare le cifre delle previsioni, questo è proprio l'esecutivo. Per il quale i numeri assumono anche un valore politico. Si può calcolare che nel periodo 2008-2014 (gli anni della crisi), lo scarto cumulato tra previsione governativa in sede di Def o Dpef e il dato finale del Pil sia nell'ordine del 20 per cento. E in un solo caso, il 2010 (governo Berlusconi), la stima è stata sbagliata per difetto (da +0,5% a +1,7%). In tutti gli altri anni la stima governativa si è sempre rivelata inferiore al dato finale. Per questo motivo Di Maio dovrebbe preoccuparsi molto di più delle sue stime, che vedono ora il Pil 2019 all'1%, che non di quelle dei centri studi. Ma c'è di più.

Secondo le indiscrezioni che circolano, il modello econometrico di Bankitalia avrebbe prodotto un risultato, sul Pil 2019, il cui dato puntuale (0,6%) sarebbe nella fascia più ottimista. Insomma: il numeretto poteva essere anche peggio. Per questioni di opportunità è stato fissato così.

Ma la tendenza, appunto, è più chiara che mai.

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