Magistratura

Bufala Loggia Ungheria: "Mai esistita"

Ecco le carte con cui la Procura ha archiviato il fascicolo su Amara, Armanna e Calafiore

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La «loggia Ungheria» non è mai esistita: ma è esistita la impressionante rete di amicizie e di favori che ruotava intorno a Pietro Amara, l'avvocato siciliano utilizzato dalla Procura di Milano nel processo Eni, e che intanto sguinzagliava le proprie manovre nei piani più alti delle istituzioni, fin dentro il Consiglio superiore della magistratura. Quattro giorni fa, accogliendo la richiesta della procura della Repubblica, il giudice preliminare di Perugia Angela Avila ha chiuso definitivamente il caso, archiviando il fascicolo che vedeva accusati di associazione segreta lo stesso Amara e i suoi compari-colleghi Vincenzo Armanna e Giuseppe Calafiore, anche essi rei confessi di una loggia - secondo il giudice - mai esistita. Archiviate anche le posizioni di sei indagati, accusati di fare parte della loggia e che però hanno sempre negato: tra questi, Luigi Bisignani e Denis Verdini.

Le centoventi pagine del decreto di archiviazione colpiscono per come ricostruiscono le mille verità di Armanna, le accuse, le ritrattazioni: tutte apparentemente frutto di un disegno preciso, rimasto però tutt'ora oscuro. Si va dalle manovre attribuite da Amara all'Eni nel 2016 per la nomina del procuratore della Repubblica di Milano («per individuare un candidato disponibile che se nominato si sarebbe messo a disposizione») alle accuse al futuro ministro Matteo Piantedosi di avere cercato aiuti fino ad una lunga serie di nomine di manager di punta di aziende pubbliche. Una per una, le vanterie di Amara vengono vagliate dal giudice, una parte vengono smentite dai fatti, altre sembrano uscire confermate: per esempio «emerge in termini difficilmente suscettibili di smentita» che Amara ha detto la verità quando ha accusato l'allora membro del Csm Marco Mancinetti di avere chiesto aiuti per piazzare suo figlio in una università, e così pure - almeno in parte - vengono riscontrati i racconti di Amara sugli incarichi conferiti a Giuseppe Conte, prima che diventasse premier, e al suo mentore Guido Alpa. La rete di Amara e dei suoi amici funzionava. Scrive il giudice: «È stata accertata una rete di relazioni e rapporti di altissimo livello di Amara con persone operanti nelle istituzioni pubbliche aveva rapporti con magistrati ed era considerato capace di intervenire nelle nomine per i vertici degli uffici giudiziari tant'è vero che veniva contattato dagli stessi magistrati interessati a ricoprire incarichi direttivi», «riusciva ad avere notizie riguardo a procedimenti ancora in fase di indagine e quindi secretati», «aveva rapporti con politici di primo piano».

Ma non era una nuova P2: per il giudice siamo davanti «non sono attribuibili ad un gruppo organizzato ma ad un intervento di singole persone».

Non siamo davanti a «una azione organizzata programmata e pianificata da parte di un gruppo specifico di persone tra di loro associate segretamente diretta ad interferire sull'esercizio di istituzioni pubbliche e soprattutto capace di agire come contropotere tale da sostituirsi agli organi pubblici legittimi detentori dei poteri decisionali».

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