Politica internazionale

Caccia italiani intercettano aerei di Mosca sul Mar Baltico

Due episodi in due giorni: i velivoli russi ignoravano i segnali radio. Sventato un altro attentato, ancora accuse a Kiev per la strage del teatro

Caccia italiani intercettano aerei di Mosca sul Mar Baltico

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Nemmeno il tempo per Putin di minacciare l'Occidente, con la promessa di colpire i caccia F16 inviati in Ucraina ovunque si trovino, anche in territorio Nato, ed ecco scattare un doppio allarme che mette in agitazione (anche) la nostra Aeronautica militare. Eurofighter italiani, schierati nella base polacca di Malbork, si sono alzati in volo due volte nelle ultimi due giorni per intercettare aerei russi sul Mar Baltico. L'allarme è stato lanciato dal centro di comando Nato di Uedem, in Germania, a causa di velivoli non identificati. Secondo una prima ricostruzione, gli aerei russi si trovavano nello spazio aereo internazionale e non in quello della Nato, ma non hanno risposto ai segnali radio. Secondo fonti della Difesa, gli aerei russi non avevano intenzioni ostili ma il silenzio radio è stato sufficiente perché i nostri caccia si alzassero in volo. Una volta identificati i velivoli, gli F-2000 italiani hanno fatto rientro nella base di Malbork, così come gli I-20 di Mosca sono tornati in territorio russo.

La Task Force Air «4th Wing» ha a disposizione quattro velivoli Eurofighter F-2000, pronti al decollo in ogni momento in caso di movimenti sospetti rilevati dai radar Nato. Il nostro contingente di Malbork, che opera in collaborazione con l'Aeronautica polacca, è schierato proprio con fini di protezione del fianco Nord-Est dell'Alleanza già da prima dell'invasione Russia in Ucraina ed è la seconda volta negli ultimi mesi che un mezzo italiano interviene nell'ambito della missione di difesa collettiva della Nato. Nessun incidente, nessun pericolo formale. Ma un ennesimo segnale di come il clima in Europa si faccia sempre più caldo ogni giorno di più e di come quei «venti di guerra» da molti evocati, continuino a soffiare sul Vecchio Continente. Anche perché gli sconfinamenti russi iniziano a diventare frequenti e inevitabilmente preoccupano.

Ieri in Romania, altro Paese Nato, dopo i raid russi della notte scorsa sono stati trovati frammenti di drone vicino al Danubio, a una ventina di chilometri dal confine con l'Ucraina. Il ministero della difesa romeno ha aperto un inchiesta. Il tutto dopo che pochi giorni fa la Polonia aveva denunciato che un missile da crociera russo diretto sull'Ovest dell'Ucraina, era entrato per 39 secondi nello spazio aereo polacco. E proprio la Polonia, per motivi di vicinanza e non solo, è insieme ai Paesi baltici tra i più in allerta per una possibile espansione del conflitto. Al punto che il premier polacco Donald Tusk lancia l'allarme. «Non voglio spaventare nessuno, ma la guerra non è più un concetto del passato. È reale. È la prima volta dal 1945 che ci troviamo in una situazione del genere». Parole forti e preoccupanti, ma tragicamente in sintonia con quanto filtra dal Cremlino. La Russia infatti ha ufficializzato che non intende partecipare alla conferenza sulla crisi ucraina organizzata in Svizzera e il ministro degli Esteri Sergey Lavrov va oltre. Nel respingere in toto il piano di pace di Kiev, ha detto senza mezze misure che «è inutile chiedere a Mosca di ritirare le sue truppe dalle aree occupate». Altro che dialogo.

Tutto questo mentre la Russia deve fare i conti con un fronte interno caldissimo. Ieri il servizio segreto russo ha comunicato di aver arrestato tre cittadini dell'Asia centrale che pianificavano un attacco terroristico a Stavropol. Sequestrati componenti per ordigni artigianali e prodotti chimici nel luogo di residenza dei tre, con ogni probabilità anche loro in qualche modo affiliati all'Isis, così come gli autori della strage al Crocus City Hall di Mosca. Eppure sull'attentato di venerdì scorso la linea del Cremlino, da Putin in giù, rimane la stessa: accusare l'Ucraina nonostante le evidenze, le rivendicazioni e i filmati, così come i report stranieri, dicano il contrario. Tanto che ieri, fedelissimi alla linea tracciata, gli investigatori russi hanno ribadito che «dopo aver commesso il massacro, i terroristi avrebbero dovuto attraversare il confine ucraino e arrivare a Kiev per ricevere la ricompensa promessa loro». E se un alleato fedelissimo come Lukashenko ha «tradito», ammettendo che in realtà gli attentatori stavano fuggendo in Bielorussia, la Turchia arriva in soccorso di Mosca con Omer Celik, portavoce del partito di governo turco Akp, che dice: «Un attacco del genere non può accadere senza il supporto dell'intelligence di qualche Paese. Tali azioni hanno uno sponsor». Puntualissimo, nel sostenere una bugia ripetuta quanto più possibile.

Che non fa altro che alimentare un clima sempre più teso.

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