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Cala il reddito degli italiani: ora è più basso di 30 anni fa

Rispetto al 1995 abbiamo perso 150 euro. Sangalli: "Subito le riforme o la ripresa è a rischio"

Cala il reddito degli italiani: ora è più basso di 30 anni fa

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Il reddito medio disponibile degli italiani è «addirittura sotto di 150 euro in termini reali rispetto al 1995, quasi trent'anni fa (21.081 euro contro 21.235 euro). Questa dinamica molto negativa, registrata dall'indagine Confcommercio-Censis, tiene inoltre conto del progredire dell'inflazione: i valori sono infatti espressi in euro del 2022, una scelta che fa risaltare il 53,2% medio di crescita dei prezzi al consumo negli ultimi 28 anni.

«Trent'anni di bassa crescita si sentono nelle nostre tasche e nei temi di disagio sociale e crescita della povertà assoluta», ha spiegato il direttore dell'Ufficio studi di Confcommercio Mariano Bella, aggiungendo che «nel lungo periodo la spesa reale è andata un po' meglio del reddito: abbiamo recuperato quasi i livelli del 2019 ma siamo sotto i massimi del 2007 ancora di 800 euro a testa» (19.379 euro contro 20.179 euro). Con la fiducia ai «massimi storici o quasi» ma con «intenzioni di acquisto non solo inferiori rispetto al 2022 ma addirittura inferiori al 2019» dal rapporto emerge «una contraddizione pericolosa», ha aggiunto Bella.

«Il risparmio sta esaurendo il sostegno ai consumi e l'incertezza per l'inflazione e il rialzo dei tassi di interesse comprimono le intenzioni di acquisto», ha commentato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, presentando il rapporto. «Si rischia di rallentare la ripresa, nonostante la fiducia delle famiglie sia alta. È fondamentale accelerare le riforme, in particolare quella fiscale, e utilizzare al meglio le risorse del Pnrr», ha aggiunto. Non mancano, tuttavia, i segnali positivi. «Senza ulteriori shock, il tendenziale dell'inflazione potrebbe tornare sotto il 6% già ad agosto e scendere sotto il 3% a ottobre, per finire sotto il 2,5% nella media del prossimo anno», rileva il rapporto Confcommercio-Censis. «Alcuni prezzi scenderanno in livello assoluto, come già ad aprile si è visto per la verdura, le uova, i prodotti tecnologici e alcuni servizi», ha chiosato il direttore dell'Ufficio studi.

Ma se la dinamica del carovita mostra un'inattesa decelerazione, i problemi strutturali permangono. Oltre all'incertezza sulla tenuta dei livelli occupazionali (ieri comunque l'Ocse ha certificato che la disoccupazione resta al minimo storico del 4,8% nei Paesi monitorati con l'Italia al 7,8%), l'impoverimento del reddito reale determina anche «un atteggiamento di scarsa propensione a procreare», ha proseguito Bella. «È molto bella questa attenzione ai giovani - ha sottolineato - anche se a me sembra che, poi, in concreto, i provvedimenti di politica economica e fiscale si concentrino sempre di più sugli anziani». Insomma, per i giovani mettere su una famiglia non è una gioia ma una preoccupazione.

Questi dati non si possono comprendere se non si guarda al sistema Paese nella sua interezza. Nel ventennio 2002-2021 l'Italia ha registrato un calo medio annuo dello 0,3% della produttività contro una media Ocse del +0,3 per cento. Che cosa significa? Se misuriamo la produttività come Pil per ora lavorata e, considerando che nel periodo il tasso di disoccupazione è rimasto invariate e così pure quello di occupazione, questo vuol dire che si è puntato alla salvaguardia degli occupati senza che questi tuttavia portassero reale valore aggiunto. Basta, infatti, guardare le dinamiche. Nel primo decennio di riferimento 2002-2011 la produttività è scesa dello 0,6% all'anno per effetto della crisi contro una media Ocse del +0,4%. Nel secondo decennio di riferimento (2012-2021) la produttività è rimasta a zero. Nel 2021 si è registrata una ripresa dopo l'anno del Covid (+0,8%), ma sempre lontana della media Ocse (+1,3%).

Questo stato di cose comporta che i salari restino sostanzialmente bloccati in quanto il sistema produttivo nel suo complesso (cioè includendo anche il terziario) punta sulla quantità e non sulla qualità. L'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di lavoratori che permangono nel proprio impiego per oltre 10 anni. Dunque poca qualità, poca mobilità, poco sviluppo.

Non si potrà cambiare tutto e subito ma proprio le riforme invocate da Sangalli avranno un ruolo decisivo.

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