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Il capitano che ha decapitato la mafia adesso gira in scooter e senza scorta

Il caso del Capitano Ultimo

Il capitano che ha decapitato la mafia adesso gira in scooter e senza scorta

Se c'è un simbolo degli eroi «ribaltati», lui lo incarna alla perfezione. Sergio De Caprio, carabiniere del Ros, nome in codice «Ultimo», dopo aver trovato e poi arrestato Totò Riina, nel 1993 era diventato un eroe popolare italiano. Tanto da finire interpretato da Raoul Bova in una fortunata serie tv, cinque anni dopo. Ma invece che sul carro dei vincitori, in Parlamento o ai vertici dell'Arma, la leggenda «Ultimo» finisce sul banco degli imputati. Succede quando l'ex pm Antonio Ingroia accusa lui e il generale Mario Mori di non aver proceduto alla perquisizione del covo di «Totò 'u curtu». Nel 2006, però, le accuse si sfaldano nell'aula del processo, e De Caprio e Mori vengono assolti perché il fatto non costituisce reato. Il capitano diventato colonnello continua a fare il suo lavoro (da anni al Noe, il nucleo operativo ecologico dell'Arma), ma non fa carriera. Non sarà mai generale perché gli manca un requisito: essere stato per almeno due anni comandante provinciale. Decapitare Cosa nostra non basta. Anzi, già che c'è lo Stato, per ringraziarlo, gli ha anche tolto la scorta. La prima volta nel 2009, salvo restituirgliela qualche mese e molte proteste di suoi colleghi dopo. L'ultima pochi mesi fa, a gennaio, quando il comitato per la sicurezza della prefettura di Roma ha deciso che non era più necessaria. Lui non si è scomposto. Ha cominciato a spostarsi in scooter per la Capitale, «per evitare di diventare un facile bersaglio». E non ha smesso l'abitudine a dire quello che pensa.

Definendo la trattativa Stato-mafia «una pagliacciata».

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