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Capo degli 007 sempre in prima linea. Incarcerato e poi assolto per Abu Omar

Il caso di Marco Mancini

Capo degli 007 sempre in prima linea. Incarcerato e poi assolto per Abu Omar

C ome si fa a fare l'agente segreto quando la tua faccia viene sparata sulle prime pagine? E ancora: come si può muoversi nei posti peggiori del mondo, reclutare spie tra tagliagole e 007 amici e nemici, quando tutti sanno che il tuo telefono può essere intercettato? A Marco Mancini, capo della divisione controspionaggio del servizio segreto militare (ieri Sismi, oggi Aise), le inchieste della magistratura sono costate qualche mese di carcere e soprattutto la messa a rischio di una rete di relazioni che è stata per anni una delle principali risorse della nostra intelligence nelle aree calde del pianeta. Arrestato, scarcerato e poi prosciolto per il caso Abu Omar; riarrestato, e poi assolto con formula piena per la vicenda Telecom; Mancini ha dovuto restare emarginato per anni dal servizio di prima linea. Eppure era stato lui a portare gli aiuti italiani fin dentro Falluja assediata, ed era stato lui a venire sequestrato mitra alla testa dai combattenti iracheni della jihad; era stato lui a Beirut, nel settembre 2004, a fare acciuffare Ahmad Salim Miqati, l'uomo delle stragi nei Mc Donald's, che si preparava a attaccare l'ambasciata italiana.

A Mancini le indagini della magistratura hanno contestato reati che si sono rivelati inesistenti (come nel caso Telecom, dove non è emersa alcuna traccia di dossier) o che la Corte Costituzionale ha ritenuto coperti dal segreto di Stato, come nel caso del rapimento di Abu Omar, realizzato dalla Cia.

Solo di recente il governo Renzi avrebbe deciso di rimettere Mancini in una posizione operativa.

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