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Cappato si denuncia per l'eutanasia di Elena. "Rischia fino a 12 anni"

La donna portata in Svizzera non aveva bisogno di trattamenti di sostegno vitale. "Pronto a rifarlo"

Cappato si denuncia per l'eutanasia di Elena. "Rischia fino a 12 anni"

«Vi abbraccio tutti, ciao». E poi arriva un sorriso illuminato, completamente inatteso, che finalmente squarcia il ritmo lugubre delle parole e del respiro. Sorride e cambia tutto. Fa dimenticare le luci asettiche del posto in cui si trova, lo sfondo senza colore, le parole atroci «avrei preferito morire nel mio letto, tenendo la mano di mia figlia e di mio marito, ma sono qui da sola», il racconto di quella condanna che le ha reso provvisoria la vita. Sorride e mette pace perché si capisce che lei, di pace, finalmente ne ha. La mente di Elena godeva di una salute che a tutto il resto di lei mancava. Ed è con quella lucidità che si è scelta la fine.

Ieri Marco Cappato, tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni, è andato ad autodenunciarsi al Comando dei carabinieri Duomo di Milano dopo aver comunicato il decesso di Elena: «È morta, nel modo che ha scelto, nel Paese che glielo ha permesso». Cappato rischia dodici anni per il reato di aiuto al suicidio: una fattispecie prevista dall'articolo 580 del codice penale. È stato lui ad accompagnare Elena nell'ultimo viaggio verso la clinica di Basilea perché mai avrebbe voluto, Elena, che i suoi familiari subissero conseguenze legali oltre al dolore e allo strazio. Allora si è rivolta all'associazione. E Cappato ha risposto, abituato com'è a prendersi i rischi della battaglia e a cercare di increspare la superficie su questo fondamentale tema. Si stratta però di un caso diverso rispetto agli altri che ha seguito in passato(come quello di Dj Fabo), perché Elena (69 anni, affetta da una patologia oncologica irreversibile) non era tenuta in vita da «trattamenti di sostegno vitale». Ma è proprio questo il tema, è esattamente su questo che Cappato pone l'accento calcando sul pedale dell'indignazione: «C'è una discriminazione insopportabile tra malati che sono attaccati alla macchine e quelli che non lo sono». Come spiega anche Mario Riccio, responsabile di Anestesia e Rianimazione dell'ospedale di Casalmaggiore (Cremona) e consigliere dell'associazione Luca Coscioni, che staccò la spina a Piergiorgio Welby e ha seguito la parte medica nel primo suicidio assistito in Italia, quello di Federico Carboni: «Discriminare le persone che chiedono il suicidio medicalmente assistito sulla base della condizione dei sostegni vitali è irragionevole senza fondamento giuridico e scientifico, dato che questa condizione non viene richiesta invece nella tecnica della sedazione profonda».

Il caso di Elena non rientra quindi tra quelli contemplati dalla Corte Costituzionale in tema di suicidio medicalmente assistito. Proprio perché, come si diceva, la donna non era tenuta in vita da «trattamenti di sostegno vitale», uno dei quattro requisiti previsti dalla Consulta nel 2019 che si pronunciò sul caso Cappato - Dj Fabo.

L'autodenuncia di ieri è stata trasmessa in procura a Milano. Sarà valutata dal sesto dipartimento della procura meneghina guidato dall'aggiunto Tiziana Siciliano, che si è già occupata del caso di Dj Fabo. Verrà quindi aperto un fascicolo (Cappato rischia l'iscrizione per istigazione al suicidio), ma l'indagine potrebbe essere trasmessa per competenza territoriale alla procura di Venezia perché la donna era residente a Spinea. Il tema è legato a come verrà inquadrata la condotta di Cappato che ha accompagnato in auto la donna in Svizzera. L'inchiesta sarà affidata a Venezia «se verrà dato peso alla provenienza della donna e dove è iniziata la disobbedienza civile», cioè l'ultimo viaggio. Il fascicolo resterà a Milano «se invece faranno riferimento alla condotta unitaria che si è conclusa in Svizzera» allora il riferimento (considerando che il reato è compiuto all'estero) è dove risiede Cappato, quindi a Milano.

Elena è riuscita a mettere fine a quella specie di notte in cui viveva dal giorno della diagnosi, anche se lontana da sua figlia e da suo marito. È stata costretta a morire sola. E questa è una condanna che nessuno merita.

Però ha, se non altro, evitato ciò che più temeva. Ma come ancora ieri ricordava Cappato: «Per una persona che riesce ad andare in Svizzera ce ne sono centinaia che non riescono. Non hanno i soldi, il tempo o le condizioni. Sarei pronto a rifarlo».

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