Politica

Casaleggio cerca un primo ministro

In caso di urne voto in rete su "personalità della società civile"

Casaleggio cerca un primo ministro

La questione, che anima il dibattito ai più alti livelli nel M5s, ha un antico sapore novecentesco. E suona così: il leader politico del Movimento deve essere per forza anche il candidato premier? Alcune fonti pentastellate sembrano avere già la risposta in tasca quando profetizzano: «Vedremo, ma se si andrà al voto questa volta il capo politico e il candidato premier potrebbero essere due persone diverse». Già, perché dopo l'ennesima ratifica su Rousseau e l'accordo con il gruppo parlamentare, la prima carica sarà appannaggio di Luigi Di Maio per altri quattro anni, che porterà così a termine il mandato (cinque anni) previsto dallo Statuto grillino per il capo politico. Differente il discorso per quanto riguarda il frontman, il candidato premier, chiamato a sfidare Matteo Salvini nelle piazze durante la prossima campagna elettorale. Si tratta di una «figura non prevista dalla legge» si schermisce più di qualcuno, ma bisognerà pur trovarla. Soprattutto se verrà mantenuto il vincolo dei due mandati a livello nazionale e non ci sarà nessuna deroga in caso di ritorno anticipato alle urne. Con uno scenario del genere, Di Maio sarebbe un leader dimezzato: capo del partito riconfermato dal voto della «base», però costretto a restare fuori dal Palazzo in virtù della regola a cui Casaleggio non intende assolutamente rinunciare.

Un problema per l'attuale vicepremier, un'occasione per l'inventore di Rousseau, desideroso di presentarsi alle ipotetiche elezioni politiche con un volto nuovo. Tra i due infatti, dopo due anni abbondanti di alleanza di ferro, sembra essersi rotto qualcosa. Diverse sono le visioni sul futuro dei 5 Stelle: Di Maio pensa a un'impostazione molto più simile a quella di un partito tradizionale, l'imprenditore vuole mantenere quanto più possibile intatto il sogno paterno del «non- partito» governato quasi esclusivamente attraverso la democrazia digitale. Poi, e su questo concordano un po' tutti, se ci sarà presto una nuova legislatura Di Maio non può essere ancora una volta il leader assoluto. Anche «se venisse eletto in deroga al limite dei due mandati».

Resta da trovare il nome del candidato premier. Fino a poche settimane fa, l'attenzione di Grillo, ma soprattutto di Casaleggio, era focalizzata sulla figura del premier Giuseppe Conte. Molto amato dalle piazze pentastellate, è stato il più applaudito a Italia 5 Stelle a ottobre dell'anno scorso, in crescita nei sondaggi sul gradimento personale, in grado di conquistare un consenso trasversale e sedurre l'elettorato moderato. C'è da dire che le sue ultime mosse, in sintonia con il Colle e orchestrate dai «tecnici» di fiducia a Palazzo Chigi, lo renderebbero troppo distante da alcuni settori tradizionali dell'attivismo grillino, provocando una sequela di malumori interni difficilmente gestibili. L'unica altra opzione, al momento, è un ritorno in grande stile di Alessandro Di Battista. Dibba da mesi è tirato per la giacchetta dalle diverse anime del M5s. Chi lo vorrebbe su una poltrona, chi su un'altra, lui finora ha declinato tutte le offerte che lo avrebbero visto ricoprire il ruolo di portatore d'acqua e «animale da palcoscenico» con poteri limitati. Per adesso si accontenta di fare da coscienza critica e sta costruendo un asse interno con il senatore ed ex giornalista Gianluigi Paragone. Come extrema ratio c'è chi non esclude la suggestione di un voto su Rousseau tra «eminenti personalità della società civile» sul modello delle Quirinarie del 2013.

Allora il M5s puntò su Stefano Rodotà e si ritrovò un Giorgio Napolitano bis.

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