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Il caso Capua e la gogna infinita

Il caso Capua e la gogna infinita

Ilaria Capua non ha mai avuto un processo. È stata prosciolta in udienza preliminare, per lei soltanto la gogna di un'inchiesta mediatica durata troppo a lungo. Congedandosi dalla Camera dei deputati che ha accolto le sue dimissioni, la virologa di fama mondiale ha dichiarato: «Quello che è successo a me accade troppo spesso in Italia, e potrebbe succedere a chiunque. In occasione di questo momento voglio dar voce a tutte le persone innocenti accusate ingiustamente che attendono, impotenti, che la giustizia faccia il suo corso».

Perché assai spesso si dimentica un particolare: la giustizia differita è giustizia negata. I tribunali che rinviano, i giudici che fanno attendere, le sentenze che non arrivano, rendono più complicato l'esercizio del diritto di difesa e soprattutto prolungano il tempo di una vita sospesa. Per molti anni la sinistra e la grancassa giustizialista hanno brandito il sacrosanto diritto di difendersi nel processo contro la vile scappatoia di chi pretendeva di difendersi dal processo. Una palese ipocrisia.

Basta ascoltare le parole di Ilaria Capua per rendersi conto che difendersi da accuse ingiuste, rifiutare l'onta e i tormenti di un processo infondato è un diritto che ci appartiene. È anche per questo che in diversi paesi europei se la procura ti accusa e tu risulti innocente all'esito del dibattimento lo Stato si fa carico di rimborsarti le spese legali: poiché non può restituirti il tempo sottratto alla tua esistenza privata, ti riconosce una forma di compensazione. In Italia invece si registra uno stridente contrasto: nei giorni in cui Ilaria Capua diventa ex deputata perché «ognuno di noi ha un tempo limitato da vivere e utilizzarlo al meglio è un dovere», in Senato la maggioranza si batte per approvare la cosiddetta «riforma del processo penale» che mira ad allungare i termini della prescrizione nel paese con i processi più lunghi d'Europa. Usando una metafora, potremmo dire che ci saranno più casi Capua, non meno.

Con il paradosso che toccherà ai cittadini, condannati al mestiere di imputato per un lasso di tempo spropositatamente lungo, pagare il prezzo di una giustizia inefficiente. I colpevoli, dal canto loro, resteranno a piede libero, e magari continueranno a delinquere, nelle more di un processo lento e interminabile. Il caso Capua è una lampadina che illumina le vere urgenze della giustizia italiana: gogna mediatica e presunzione d'innocenza.

La prima è letale; la seconda è ridotta a una formula vuota. Su questo il governo ha qualcosa da dire?

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