Politica

Il caso Così parla al cuore della gente

Sarà che è il Papa che viene dalla periferia, da quella «fine del mondo» che per natura è cresciuta contaminata dal dialetto e dalle lingue degli immigrati. Sul «barco», quando si attraversava l'Oceano ed erano viaggi di mesi, i genovesi si incontravano con i friulani, i piemontesi con i napoletani e non c'era verso di capirsi. «Facevi prima a fare amicizia con gli spagnoli», racconta Mario Ferrari che dal nord Italia in Argentina ci è arrivato dopo la guerra.

Bergoglio il dialetto ce l'ha dentro. Da figlio di immigrati sa quanto conta, che potente mezzo è per arrivare al cuore del popolo. In questi due anni Papa Francesco ci ha abituato a due facce di lui che non conoscono vie di mezzo. Se da un lato c'è un Bergoglio che si accanisce e si scaglia contro i corrotti, i moralisti, gli affaristi, c'è quello altamente folcloristico, che piace e che fa titolo. Il Papa per i poveri che parla all'uomo comune, usa frasi colorite, racconta aneddoti e storie di tutti i giorni e non disdegna il dialetto, evolutissima formula di marketing, strategia pura della comunicazione. È questa la faccia pop di un Pontefice di strada. Francesco che abbraccia e si ferma a salutare tutti, lui che rivoluzionario e anarchico controlla il percorso della papamobile per assicurarsi che anche chi è in fondo possa vedere quel Papa argentino, che dall'auto si sbraccia e si sbilancia sulla folla. Conosce e parli cinque lingue ma il dialetto è altra cosa. Come ieri a Napoli, dove ha scelto di non rifugiarsi dietro al cerimoniale e ha mostrato la sua versione egualitaria, collettiva. Nel corso della visita a Napoli, si è lasciato contagiare dalla spontaneità della gente di Scampia, che ha benedetto ricorrendo al dialetto. «Benedico di cuore tutti voi - ha detto Bergoglio - le vostre famiglie e questo vostro quartiere. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. ‘A Maronna v'accumpagne'».

Subito dopo l'elezione al soglio pontificio, scavando nell'albero genealogico, si venne a sapere che padre Bergoglio aveva le radici in Piemonte, nella piccola frazione di Portacomaro Stazione, provincia di Asti, mentre i nonni provenivano da Cocconato, un paese vicino a Chivasso. Origini che Bergoglio non ha reciso. Ne è stata testimone Emma Bonino, quando, nel giugno del 2013, alla guida della Farnesina si presentò in visita ufficiale in Vaticano e papa Bergoglio, dopo un'energica stretta di mano, la salutò alla maniera dei piemontesi: «Cerea, signor ministro». Un suono familiare per Emma Bonino, che essendo nata a Bra in provincia di Cuneo, non fece alcuna fatica a capire. In napoletano a Napoli, in piemontese con la ministra sua conterranea e in abruzzese con i cittadini dell'Aquila, che ha di recente visitato nel quinto anniversario del terremoto del 2009. In un incontro, emotivamente molto carico con gli aquilani, in una città ancora profondamente ferita dal sisma, Bergoglio li incoraggiò e li esortò a non abbattersi dicendo: «Jemo 'nnanzi, andiamo avanti».

L'esigenza di entrare in contatto empaticamente con i propri interlocutori attraverso il dialetto, ha del resto un precedente illustre che, a suo modo, fa storia.

Quello di Giovanni Paolo II che nel 2004, incontrando in Vaticano i parroci romani, salutò dicendo loro: «damose da fa' e volemose bbene», aggiungendo poi con un pizzico di rammarico: «Non ho imparato il romanesco, vuol dire che non sono buon vescovo di Roma».

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