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Caso Cucchi, carabinieri "Pure noi siamo vittime"

Al processo per il depistaggio due militari imputati: «Abbiamo obbedito ai superiori»

Caso Cucchi, carabinieri "Pure noi siamo vittime"

Imputati che chiedono di costituirsi parte civile contro altri imputati. Il ministero della Difesa che è parte civile ma che viene anche citato come responsabile civile. Accade anche questo nel processo per la morte di Stefano Cucchi. L'ennesimo colpo di scena - dopo la recente astensione di un giudice perché ex carabiniere - arriva alla prima udienza sui depistaggi dell'inchiesta sulla morte del giovane detenuto romano, che vede alla sbarra otto carabinieri, alcuni anche ai vertici dell'Arma.

«Non ci sono falsi. Non sapevamo nulla del pestaggio, siamo vittime anche noi». Questione di gradi, secondo Massimiliano Colombo Labriola e Francesco Di Sano, che all'epoca - dicono - non capivano l'insistenza dei loro superiori per fargli modificare le annotazioni di servizio. Oggi che è stata chiarita una volta per tutte la dinamica della tragica morte del geometra fermato per droga, oggi che non ci sono più dubbi sul fatto che Stefano è morto per le conseguenze di un pestaggio avvenuto in caserma dopo l'arresto, i due militari hanno chiesto al giudice Giulia Cavallone di costituirsi parte civile contro chi, a dir loro, gli avrebbe ordinato di fare carte false per coprire l'Arma: «Non siamo nella stessa linea gerarchica, erano ordini». Ordini arrivati dai loro superiori, il tenente colonnello Francesco Cavallo e il tenente colonnello Luciano Soligo, anche loro sul banco degli imputati. «L'ordine - spiegano i legali - fu dato da chi insistendo sulla modifica sapeva qualcosa di più. Labriola e Di Sano hanno subito un danno di immagine, da questo punto di vista siamo nella stessa posizione degli agenti di polizia penitenziaria». Quegli stessi agenti che, inizialmente finiti sotto processo per il pestaggio e poi assolti in via definitiva, ieri hanno chiesto al giudice di poter citare come responsabile civile il ministero della Difesa quale organo di riferimento dell'Arma de carabinieri. Ministero della Difesa che, tra l'altro, è già nel processo come parte civile.

Per l'avvocato Giorgio Carta, legale di Labriola e Di Sano, non ci sarebbe alcun concorso di colpa: «Hanno solo subito. Le vittime, dopo i Cucchi, sono loro due. Con il senno del poi ora capiamo l'insistenza dei superiori, ma all'epoca i due militari non sapevano nulla. Se non avessero eseguito quell'ordine sarebbero incorsi in un reato militare». Al margine dell'udienza l'avvocato aggiunge che «fu bloccata la partenza già programmata per la Sicilia e con un biglietto già acquistato da Francesco Di Sano, per firmare l'annotazione di servizio già modificata». A Labriola, invece, sarebbe stato chiesto da Cavallo, di inviare i due file word delle annotazioni modificate.

Per i depistaggi sono imputati anche il generale Alessandro Casarsa, all'epoca dei fatti comandante del gruppo Roma, e Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri.

Alla sbarra anche Tiziano Testarmata, comandante della quarta sezione del nucleo investigativo e il carabiniere Luca De Ciani.

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