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Caso Montecarlo e riciclaggio. Fini verso il rinvio a giudizio

Vicina la chiusura dell'indagine. Per i pm avrebbe avuto un ruolo centrale negli affari tra Corallo e i Tulliani. Lui ha sempre detto di essere stato un "cog..." abbindolato dalla famiglia

Caso Montecarlo e riciclaggio. Fini verso il rinvio a giudizio

E alla fine, probabilmente, l'ultima parola arriverà da un tribunale. L'indagine sul «re delle slot» Francesco Corallo, che ha scoperchiato la vera storia della casa di Montecarlo e inguaiato l'ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, indagato per riciclaggio, va verso la richiesta di rinvio a giudizio per l'ex leader di An, per i suoi familiari e per lo stesso Corallo. È infatti imminente la notifica da parte dei pm capitolini Barbara Sargenti e Michele Prestipino dell'avviso di chiusura indagine, che prelude alla richiesta di andare a processo.

Fini, dunque, che ha sempre negato ogni addebito, potrebbe difendersi alla sbarra dalle pesanti accuse della procura capitolina, sostenendo - come ha già fatto sui giornali - di essere un semplice «coglione», abbindolato dalla famiglia acquisita. Secondo la procura, invece, il suo ruolo nell'intreccio di affari e nei passaggi di denaro tra Corallo e i Tullianos (in particolare Elisabetta e il fratello, Giancarlo, ma anche il padre Sergio è indagato) è ben lungi dall'essere quello di vittima inconsapevole. Le toghe capitoline lo ritengono protagonista dell'indagine, e sono convinte che l'asse fosse tra lui e Corallo, tanto che a giustificare il coinvolgimento dei Tulliani, non certo capitani d'impresa, sarebbe solo la parentela con l'ex terza carica dello Stato, che avrebbe nell'ipotesi della procura potuto aiutare il re delle slot anche agevolando l'adozione di provvedimenti e decreti favorevoli al padrone di Atlantis.

Un ruolo da regista Fini l'avrebbe avuto anche nella più clamorosa delle operazioni finite nel fascicolo della procura di Roma, la famigerata vendita della casa di Boulevard Princesse Charlotte a Montecarlo, ricevuta da An come lascito della contessa Colleoni «per la buona battaglia», ossia nell'interesse del partito, e finita invece svenduta tramite una serie di società offshore al cognato del presidente della Camera, Giancarlo Tulliani, fino a quando il Giornale scoprì il gioco immobiliare e chiese, invano, chiarimenti a Fini. Quella compravendita per la procura è stata finanziata interamente da Corallo, che si sarebbe anche occupato dell'infrastruttura offshore per nascondere l'operazione, il tutto con la piena consapevolezza dell'ex leader di An. Tanto che la ricca plusvalenza (l'immobile venne rivenduto a 1,4 milioni di euro due anni fa) sarebbe finita per metà sui conti di Giancarlo e per l'altra metà su quello di Elisabetta, moglie dell'ex politico.

Fini, che ha sempre negato all'epoca dello scandalo mediatico, anche in sede giudiziaria ha continuato a sostenere di non aver nemmeno mai saputo che l'acquirente fosse stato il cognato. La procura non sembra credergli.

Oltre a un sequestro di beni per 7 milioni di euro chiesto e ottenuto al gip per i Tulliani, infatti, i pm romani hanno sequestrato anche a Fini due polizze vita per un valore complessivo di quasi un milione di euro.

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