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Caso Shalabayeva, promossi i due poliziotti salva-Alfano

Il doppiopesismo del Viminale: i dirigenti indagati che hanno aiutato il ministro fanno carriera. Ma l'agente che denuncia sprechi e problemi di sicurezza viene punito

Angelino Alfano e Maurizio Improta
Angelino Alfano e Maurizio Improta

Ci sono macchie sul curriculum di un servitore dello Stato che non si possono ignorare. E altre che, invece, non possono frenare la carriera. Che, anzi, accelera, con la benedizione di Angelino Alfano. Così è per esempio per alcuni dei poliziotti finiti nel pasticcio dell'affaire Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov, pizzicata con un blitz e poi espulsa, tre anni fa, in tutta fretta dall'Italia. Per quella storia finì sulla graticola proprio il ministro dell'Interno, che ha sempre sostenuto di non essere stato informato di nulla, supportato in questo dalla relazione del capo della polizia Alessandro Pansa, che Alfano si limitò a leggere quando a luglio 2013 fu chiamato a riferire alle Camere. Eppure espulsione e blitz per la Cassazione sono stati illegittimi. Addirittura un rapimento secondo la procura di Perugia, che ha acquisito gli atti da Roma e ipotizza il sequestro di persona. Tra gli otto indagati ci sono l'ex capo dell'ufficio immigrazione Maurizio Improta - interrogato dai pm umbri all'inizio dello scorso dicembre - e l'allora vicecapo della Mobile romana, Luca Armeni. Come gli altri dirigenti e agenti coinvolti nel caso, i due rivendicano la correttezza del proprio operato. E come gli altri dirigenti e agenti coinvolti nel caso, nessuno ha ricevuto sanzioni disciplinari o è stato sospeso.

Le loro carriere, in attesa che a chiarire eventuali responsabilità penali sia la magistratura, non hanno subito frenate per l'inciampo nella storiaccia della Shalabayeva. Qualcuno, semmai, è stato promosso. Maurizio Improta, per esempio. Dopo un salto di 52 posizioni nella graduatoria, subito dopo la controversa «espulsione», Improta viene destinato dal consiglio di amministrazione del personale della Polizia - presieduto da Alfano in persona, e alla presenza del futuro commissario straordinario del Campidoglio Francesco Paolo Tronca - al Corso di alta formazione, dove entra come capocorso ed esce promosso dirigente superiore, con corollario di foto celebrativa nella quale stringe la mano proprio ad Angelino Alfano. Anche Armeni risale la graduatoria, balzando tra 2012 e 2014 dalla 294esima posizione alla 28esima. Improta, poi, un anno fa viene nominato Questore a Rimini, mentre Armeni va a dirigere la Mobile a Cagliari. Indagati in procura, ma mai disturbati dalla commissione disciplinare della polizia.

Ma non a tutti va così bene. A denunciare l'esistenza di due pesi e due misure sono i meno «fortunati». Come il segretario del sindacato di polizia Pnfd Filippo Bertolami, sospeso dal servizio per 5 mesi e mezzo per aver segnalato sprechi, privilegi e irregolarità, ed è stata chiesta la sua destituzione per un'intervista nella quale denunciava carenze nei sistemi di sicurezza alla stazione Termini. Non è stato nemmeno indagato, nonostante abbia chiesto di trasmettere gli atti alla procura, ma la commissione disciplinare gli ha contestato la violazione del segreto d'ufficio. Non è un caso che ora il suo sindacato sia al fianco del Sap, il cui segretario Gianni Tonelli è da mesi in sciopero della fame per denunciare la vetustà delle dotazioni della polizia. Denuncia che è costata a un suo dirigente la sospensione immediata in seguito a un servizio tv in cui mostrava caschi e giubbotti antiproiettile obsoleti. «Prove false», per i vertici della pubblica sicurezza.

Che quando si tratta di giudicare i poliziotti sembrano usare il pugno di ferro per quelli scomodi, preferendo il guanto di velluto se la scomodità, invece, riguarda i vertici stessi.

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