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Cavilli e assoluzioni Così la nostra giustizia libera 9 scafisti su 10

Renzi proclama oltre mille arresti, ma alla fine appena il 10 per cento arriva a scontare la pena

Cavilli e assoluzioni Così la nostra giustizia libera 9 scafisti su 10

L'Italia? Paese di eroi, santi, poeti. E scafisti.

Se n'é accorto pure Michele Ainis, costituzionalista e firma prestigiosa del Corriere. «Dinanzi all'onda biblica dell'immigrazione - argomentava ieri il professore in un editoriale - c'è un delitto che non verrà mai punito: quello degli scafisti». Nessuno s'è sognato di dargli di sciacallo per aver osato rilevare le pecche del sistema normativo e, inevitabilmente, le colpe del Governo al riguardo. D'altronde, a far cadere il muro di gomma alzato da Matteo Renzi e compagni all'indomani dell'ennesima tragedia nel Mediterraneo bastano i numeri. «Di scafisti, in totale, sin qui ne sono stati arrestati 1.002», gongolava il premier in conferenza stampa col suo omologo maltese Joseph Muscat tre giorni fa. Sarà pure vero, ma sono altre le domande che non hanno avuto risposta: quante sono le condanne seguite agli arresti? E quanti dei condannati scontano la pena? Non molti, a giudicare dalle stime elaborate dal Viminale: solo il 10%. Dati che, sebbene ufficiosi, trovano riscontro nelle cifre fornite da altre fonti. Secondo il Consiglio d'Europa, le condanne sono state 14 nel 2010, 9 l'anno seguente. Nel 2013, attesta il ministero della giustizia, si contavano 154 persone condannate per il reato di tratta. Tra il 2011 ed il 2014, certifica il procuratore della Repubblica di Catania, Giovanni Salvi, nel catanese 191 sono state le persone rinviate a giudizio per traffico di esseri umani. Di esse soltanto poco più della meta, 109, risultava aver riportato una condanna, ma in primo grado.

Insomma, per gli scafisti il Belpaese è un Eldorado. «Una volta denunciati - spiega Giorgio Innocenzi, segretario della Confederazione sindacale autonoma di polizia - i sospettati di tratta restano in carcere qualche settimana, quindi vengono rilasciati in attesa di giudizio». Molti fanno perdere le tracce. Altri aspettano fiduciosi.

Perché si giunga a sentenza, del resto, occorre superare scogli a volte insormontabili: i testimoni, connazionali degli imputati, vengono spesso rintracciati e indotti a cambiare versione. La Cassazione - con sentenze discordanti - ancora discute se, come e quando lo Stato italiano abbia giurisdizione a trattare di reati radicati quasi sempre al di fuori dei propri confini.

E soprattutto distingue tra scafisti occasionali e scafisti professionisti. Ma se pure si giunge a processo, poco male: come ricordava Ainis, «il reato di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare è punito con reclusione fino a 5 anni. I topi d'appartamento ne rischiano 6».

Nel marasma, farla franca è facile. A metà aprile il Tribunale di Ragusa ha assolto 5 egiziani: i migranti che li accusavano erano risultati irreperibili al momento dell'incidente probatorio. A fine marzo, sempre a Ragusa, identico copione per un altro egiziano, già arrestato in passato per gli stessi reati. A gennaio, invece, assoluzione con scuse per un senegalese che in cella era rimasto confinato 19 mesi. Ma poiché a tutto c'è rimedio, anche quando la condanna arriva una soluzione si trova. Il più delle volte i condannati vengono accompagnati alla frontiera per scontare la pena nel Paese di provenienza. Mohamed Ramzy, ad esempio, egiziano di 49 anni, era stato espulso nell'aprile del 2014. Una settimana fa lo hanno trovato al timone di uno dei due barconi intercettati dalla motonave militare «Driade», con a bordo 453 migranti sbarcati al porto di Messina. Agli agenti che gli rilevavano le impronte ha regalato un sorriso beffardo.

Quello di chi sa che prima o poi, comunque presto, tornerà libero e di nuovo in mezzo al mare con un altro carico di vite umane pigiate in una stiva, puntando la prua sulle terre dell'ignavia, famose per i loro coccodrilli piangenti.

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