Cronache

Chef che odiano Bacco È Marchesi contro tutti

Il decano dei cuochi italiani: «Il vino mi fa schifo, non ne bevo da 17 anni». Ed è subito polemica

Chef che odiano Bacco È Marchesi contro tutti

Chef che odiano il vino. Non che lo evitano. Non che fingono di amarlo. No. Chef che il vino gli fa schifo. Prendete Gualtiero Marchesi. Mico uno chef qualsiasi, un oscuro spignattatore da format televisivo, un cuoco senza qualità. No. Il decano degli chef italiani. Uno che, a 85 anni, dopo aver inventato l'alta cucina italiana ed essere talmente passato di moda da essere pura avanguardia, ormai può permettersi di dire quello che pensa. E cioè, in un'intervista a Panorama: «A Erbusco non facevo uscire le pietanze finché i camerieri non avevano fatto sparire i bicchieri. Al limite permettevo di servirlo in modo che non disturbasse, tra una portata e l'altra».

E poi la bomba: «Non tocco alcol da 17 anni, che devo fare, il vino mi fa schifo».State calmi prima di tutto. Qui si mette in discussione l'articolo 1 dello Statuto dei gourmet: in un pasto non avrai altra bevanda al di fuori del nettare di Bacco, perbacco. Se butti una bomba su un campo di mais il minimo che puoi aspettarti è una pioggia di pop corn. Seguono rilevanti indignate prese di posizione. Quella di Enzo Vizzari, gran cerimoniere della guida dei ristoranti dell'Espresso, che così sintetizza il suo stato d'animo su facebook: «Che tristezza, che pena». La polemica rischia di finire a carte bollate. Ma di certo il tribunale degli opinion leader ha deciso con chi stare. Paolo Marchi, inventore di Identità Golose: «La verità è che a un certo punto, quando inizi a evaporare, qualcuno dovrebbe metterti nelle condizioni di non fare figure barbine». E Vittorio Moretti, patròn di Bellavista e Contadi Castaldi che ha avuto Marchesi nel suo resort all'Albereta, ricorda: «Gualtiero è un grande personaggio, che qualche volta si lasciava andare ad annunci roboanti.

Come quando in Franciacorta sosteneva che a tavola la bevanda perfetta da abbinare al cibo era l'acqua e non il vino. Sciocchezze».Sciocchezze, certo. Epperò il tema resta. Si può mettere in discussione il sacro vincolo vino-cibo in nome della coppia aperta? Il marchesiano risotto alla foglia d'oro sta bene con la Coca Zero? Il Raviolo aperto è meglio o peggio se invece di un Riesling renano lo si abbina a un succo di pera? Che poi forse a parlare in Marchesi non è lo chef sopraffino - che per la verità qualcuno vuole decaduto da almeno un paio di decenni - ma l'imprenditore. Quello cioè che deve vedersela con le grane di stipendiare un sommelier, di predisporre un locale correttamente climatizzato e umidificato, di immobilizzare un ingenter capitale per bottiglie che spesso restano anni sul groppone, di convincere i clienti ad abbinare al proprio menu degustazione un'etichetta che allo scaffale di un supermercato costerebbe quanto un giornale e in uno stellato sta in carta al prezzo di un'enciclopedia.Insomma, il re è nudo, o quanto meno astemio.

Qui Marchesi non è solo. Astemio è Arturo Spicocchi, già alla Stua de Michil di Corvara in Alta Badia e oggi al nuovissimo resort San Luis di Avelengo. Wine-free è anche Pietro Leemann, primo chef vegetariano a ottenere una stella nel suo Joia a Milano. Molti altri «cuochi artificiali» non hanno un rapporto idilliaco con il vino ma non lo ammetterebbero mai.

Ma nel segreto delle proprie cucine, mangiando prima del servizio con le proprie brigate, mandano giù birre e aranciate con i piatti che due ore dopo proporranno in abbinamento a un Masseto.

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