Cronache

La Chiesa risponde con il pro-vita Matteo. "Non andare a morire, noi portiamo luce"

Sul quotidiano della Cei le parole di un 19enne disabile: "Siamo libertà"

La Chiesa risponde con il pro-vita Matteo. "Non andare a morire, noi portiamo luce"

Da una parte c'è Dj Fabo, 40 anni il 9 febbraio scorso, cieco e tetraplegico in seguito a un gravissimo incidente stradale, arrivato in Svizzera per porre fine alla sua vita. Dall'altra c'è Matteo, 19 anni, disabile, che comunica scrivendo su una tavoletta, non parla, non cammina, a causa di un'asfissia alla nascita. Nel giorno in cui Dj Fabo decide di volare oltralpe per praticare l'eutanasia, la Conferenza episcopale italiana scende in campo sul tema del fine-vita pubblicando su Avvenire un editoriale in prima pagina con la storia di Matteo. Una storia straziante, dolorosa, ma con una speranza di vita trascinante e che fa riflettere.

«Mi chiamo Matteo Nassigh, ho 19 anni e sono uno che pensa», si presenta il 19enne che vive in zona San Siro, a Milano. «Voglio rispondere a Dj Fabo perché io conosco bene la fatica di vivere in un corpo che non ti obbedisce in niente. Voglio dirgli che noi persone cosiddette disabili siamo portatori di messaggi molto importanti per gli altri, noi portiamo una luce. Anch'io a volte ho creduto di voler morire, perché spesso gli altri non ci trattano da persone pensanti ma da esseri inutili. È vero, noi due non possiamo fare niente da soli, ma possiamo pensare e il pensiero cambia il mondo. Fabo, noi siamo il cambiamento che il mondo chiede per evolvere! Tieni duro».

La storia di Matteo appare in prima pagina su Avvenire. È il modo della chiesa di intervenire. «Non con prese di posizioni o dichiarazioni di principio riferiscono dalla Cei ma con storie dolorose ma allo stesso tempo di speranza e di incoraggiamento che fanno riflettere e andare al cuore del problema, nel rispetto della sofferenza altrui».

Matteo pesa 25 chili, è immobilizzato su una sedia a rotelle. Un parto andato male a causa di negligenza dei medici, riconosciuta e risarcita dall'ospedale. Con quei soldi ora il ragazzo ha firmato un rogito («con il pennarello in bocca») per l'acquisto di una struttura che ospiterà la sua associazione «Per la cura di chi cura».

Il problema di Dj Fabo e di tanti che la pensano come lui, sottolinea Matteo, «è che vedono la disabilità come un'assenza di qualcosa, invece è una diversa presenza». Per il giovane 19enne, non è questione di leggi in Parlamento, ma di sguardo verso i cosiddetti disabili. «Se le persone vengono misurate per ciò che fanno, è ovvio che uno come me o dj Fabo vuole solo morire. Ma se venissero capite per quello che sono, tutto cambierebbe. Ci vedete come mancanza di libertà, ma noi siamo libertà, se ci viene permesso di essere diversi».

«Ora Fabo, passando da una vita superattiva a un'altra direi opposta, vede solo il dolore. Dunque è chiaro che vuole sparire. Se avesse attorno a sé tutto l'amore che ho io, non cadrebbe nella trappola di misurarsi sulla perfezione fisica, ma sulla sua anima intatta». E conclude il suo appello: «Lo dico chiaro: non uccidetemi mai. Temo sempre che un giorno arrivi uno e dica sopprimiamo i disabili che non parlano...

se accadesse mi troverei in una situazione poco bella».

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