Politica

Lo choc della madre di Regeni: «L'ho identificato solo dal naso»

I genitori del ricercatore ucciso al Cairo: torturato come facevano i nazisti Il centrodestra all'attacco: verità per Giulio, l'Italia non si faccia umiliare

Di solito si commuove facilmente, ascoltando una canzone o guardando il disegno di un bambino. Ma da quando le hanno «torturato il figlio come durante il nazifascismo», in Egitto, dove era andato «per fare ricerca, non la guerra», non piange più o piange pochissimo. Non ci riesce. Lo farà forse solo quando saprà cosa è successo davvero a Giulio. Paola Regeni non versa una lacrima nemmeno mentre spiega ai giornalisti - convocati per dire che lei e il marito continueranno a battersi per gli ideali e i valori del loro ragazzo - che quando ha rivisto suo figlio in obitorio lo ha potuto riconoscere solo dalla punta del naso. «Non vi dico cosa gli hanno fatto - racconta - in quel viso ho visto tutto il male del mondo. La sua faccia era diventata piccola piccola, Claudio ed io l'abbiamo baciato e accarezzato».Un grido di dolore sostenuto dalla politica, in particolare dal centrodestra. Daniela Santanché, Fi, dice basta alle prese in giro dell'Egitto: «Finora Renzi si è fidato e ha sbagliato alla grande. Dobbiamo essere pronti a qualsiasi azione contro il Cairo». Per Mara Carfagna, Fi, «il governo ha il dovere di dare ai genitori di Giulio e all'Italia intera una risposta che sia degna e che non getti più fango sulla memoria del giovane». Pretende chiarezza dal governo Matteo Salvini, anche se la Lega «non si aspetta molto, come per i Marò». Pure Gianni Sammarco, Ncd, chiede «un cambio di passo» da parte del Cairo.Ma a pretendere «verità per Giulio» sono soprattutto i genitori. Non le versioni di comodo fornite finora dalle autorità egiziane. Secondo l'ultima Giulio sarebbe stato massacrato nel corso di una rapina da cinque balordi, tutti uccisi nel corso di un blitz, che gli avrebbero portato via il passaporto e i tesserini universitari, oltre ad altri oggetti che in realtà non gli appartenevano. «È solo l'ultimo depistaggio, chissà che cos'altro preparano», osserva Alessandra Ballerini, legale della famiglia Regeni, che definisce «oltraggiosa» la foto del vassoio con le cose spacciate per quelle di Giulio mostrata dagli egiziani. Se l'Egitto vuole finalmente collaborare sulle indagini, come garantito dal procuratore generale del Cairo, si saprà il 5 aprile quando dovrà consegnare ai magistrati italiani i documenti richiesti da tempo. Se ciò non avverrà, avvertono i Regeni, «confidiamo in una risposta forte del nostro governo». Sperando «di non dover arrivare a mostrare» le immagini del corpo reso irriconoscibile dalle torture. «Quello che è successo a Giulio non è un caso isolato», dice Paola Regeni, come confermano i dati di Amnesty International Italia. Mamma Regeni racconta con orgoglio chi era Giulio. «Faceva ricerca - spiega - non era un giornalista, non era una spia, era un ragazzo contemporaneo o forse del futuro visto che le sue idee non sono state capite. Nessuna delle informazioni che ci trasmetteva faceva pensare a un lavoro sottobanco, per i servizi segreti». Quello che proprio non riesce a togliersi dalla testa è l'immagine del figlio mentre cerca di far capire ai suoi aguzzini, in tutte le lingue che sapeva parlare, chi era veramente: «Penso ai suoi occhi che si chiedono cosa sta accadendo, perché proprio a lui, e mi fa male soprattutto pensare a quando ha capito che una porta non si sarebbe più aperta».

Accanto ai genitori di Giulio c'è Luigi Manconi, presidente della Commissione per i diritti umani, che propone di valutare il richiamo dell'ambasciatore italiano in Egitto per far comprendere come il nostro Paese consideri questo caso un elemento discriminante nelle relazioni tra Roma e il Cairo.

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