Politica

La Cina alza bandiera bianca Borse vicine al precipizio

Pechino elimina il blocco automatico degli scambi dopo un altro ribasso del 7%. Milano contiene le perdite: da -3% si ferma a -1,1

Rodolfo PariettiNeppure 30 minuti di contrattazioni, giusto il tempo di veder crollare di un altro 7% la Borsa cinese sull'onda alta del panico provocato dalla nuova svalutazione dello yuan dello 0,5%. Poi, immediato, il triplice fischio finale con l'attivazione del famigerato circuit breaking che abbassa d'autorità la saracinesca degli scambi. È sul secondo tonfo in appena tre sedute del mercato dell'ex Celeste Impero che i mercati occidentali hanno rischiato ieri un altro avvitamento. Fino al primo pomeriggio, quando una perdita di circa il 3% aveva fatto scivolare a Milano il Ftse-Mib sotto i 20mila punti e Francoforte scricchiolava sotto il peso di un -3,7%, gli ordini di vendita hanno continuato a piovere come se non ci fosse un domani. E l'apertura raggelante di Wall Street, in calo di oltre l'1%, certo non incoraggiava l'ottimismo. Poi, da Pechino, è arrivato il brodino corroborante, quello capace di scaldare un pochino gli indici ed evitare così il giovedì nero: la Consob cinese ha deciso di rimuovere il congegno di stop automatico a partire da oggi. Un dietro-front radicale, accompagnato da un mea culpa più unico che raro: «Attualmente, gli effetti negativi del meccanismo sono più grandi degli effetti positivi», ha ammesso il regolatore di mercato del Dragone. In effetti, Pechino ha creato una sorta di mostro che fa a opugni con i principi del libero mercato che ha finito per alimentare le vendite da panico, anzichè contenerle. Ma l'eliminazione del circuit breaking non ha cancellato l'impronta dirigista cinese: i grandi azionisti (quelli che detengono il 5% o più dei titoli di un'azienda) non potranno liberarsi di oltre l'1% del totale nell'arco di tre mesi, e saranno anche obbligati ad annunciare al mercato i loro piani con almeno 15 giorni di anticipo. Un altro paletto, che si aggiunge allo stop alle vendite di partecipazioni in società quotate, deciso durante la crisi di luglio, che contribuirà a tenere lontani gli investitori istituzionali dal mercato orientale.Le toppe messe dalle autorità cinesi hanno comunque aiutato i mercati a recuperare terreno nel corso della seduta. Anche il petrolio, che l'Opec dava nel proprio paniere sotto i 30 dollari al barile, ai minimi dal 2004, è riuscito a risalire. Il Brent, da una perdita di oltre il 6% si è attestato al -0,4% nel tardo pomeriggio europeo. A proposito di Vecchio Continente, alla fine Piazza Affari è riuscita a limitare le perdite all'1,14% (e il Ftse-Mib ha conservato l'importante soglia psicologica dei 20mila punti), mentre peggio si sono comportate Francoforte (-2,29%), Londra (-1,9%), Parigi (-1,7%) e Madrid (-1,5%). A un'ora dalla chiusura, New York cedeva invece l'1,9%. Anche soprassedendo sulle contraddizioni di un mercato cinese rigidamente regolato, resta il fatto che i timori di un rallentamento dell'economia di Pechino sono sempre più concreti. Le riserve valutarie del Paese continuano a calare, a fine 2015 sono scese di quasi 108 miliardi di dollari a 3.330 miliardi, sintomo di interventi importanti per sostenere lo yuan, in scia alla fuga dei capitali in atto. La Banca Mondiale prevede nell'ultimo rapporto che il Pil cinese salirà quest'anno del 6,7% e non più del 7% previsto a giugno dopo il +6,9% del 2015 e il +7,3% del 2014. Si tratta del passo di crescita più lento dal 1990. Con inevitabili ripercussioni globali: per il terzo anno di fila, l'istituto di Washington stima un Pil 2016 mondiale in aumento del 2,9%, lo 0,4% in meno rispetto ai calcoli dello scorso giugno, ma meglio del 2,4% preliminare del 2015.

E certo lo scenario non è destinato a migliorare se dovessero perdurare le tensioni geopolitiche (ultima in ordine di tempo, quella che riguarda la Corea del Nord) con cui i mercati dovranno continuare a fare i conti.

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