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In Cina sono sicuri: "L'accordo con l'Italia è stato già chiuso"

Le indiscrezioni del sinologo Sisci che osserva: "Da dilettanti non valutare le reazioni Usa"

In Cina sono sicuri: "L'accordo con l'Italia è stato già chiuso"

A poche ore dall'arrivo in Italia del presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping, le posizioni di Lega e M5s sull'intesa per la Via della Seta restano distanti. Ieri il viceministro ai Trasporti leghista Edoardo Rixi, in un'intervista a Repubblica, ha fissato i paletti per un accordo: «Si può pensare con un accordo politico di vincolare dei porti a terminali di progetti fra Stati? Io dico proprio di no, perché poi è sempre il mercato a decidere. Voler procedere in modo diverso sarebbe una forzatura e finiremmo per irritare gli americani. Cerchiamo invece di costruire infrastrutture efficienti nel nostro Paese, consentendo così alla merce che arriva nei nostri porti di correre su tutte le reti europee. Genova può servire benissimo il Nord Europa, Trieste l'Est Europeo, fino ai Balcani e all'Ungheria». Il vicepremier dei Cinque stelle Luigi di Maio spinge, invece, per la firma, senza condizioni, del memorandum of understanding, l'intesa che dovrebbe essere sottoscritta la prossima settimana per far entrare ufficialmente l'Italia nel mastodontico progetto della Via della Seta cinese. Una spaccatura che per ora genera solo perplessità a Pechino. Ma il governo cinese considera l'accordo ormai incassato: «Ad oggi, in Cina non arrivano segnali che vanno in questa direzione. Al netto dello scontro politico, ma l'Italia è questa da 20 anni, non ci sono ragioni tali da mettere in discussione l'accordo Italia-Cina. E al momento non c'è alcun rischio di una cancellazione del viaggio in Italia di Xi Jinping» - spiega a Il Giornale Francesco Sisci (nel tondo), esperto sinologo.

L'agenda di Xi Jinping è confermata: atteso a Roma nel pomeriggio di giovedì 21 marzo, due giorni dopo il discorso del premier italiano Giuseppe Conte in Parlamento sul memorandum of understanding che il governo firmerà con Pechino nell'ambito della Belt and Road Initiative.

Il contenuto del memorandum vincolerebbe l'Italia a una serie di obblighi con la Cina. E provocherebbe una scossa nelle relazioni internazionali. Inoltre, i leghisti temono le reazioni degli Stati Uniti. Il rischio di ritorsioni, stavolta, c'è. Ed è concreto. Ritorsioni che porterebbero allo stop della condivisione di informazioni riservate con i servizi segreti italiani e alla consegna di materiale «sensibile», per esempio attrezzature militari. E che si estenderebbero alla sospensione dell'acquisto dei titoli di Stato e a un atteggiamento meno benevolo delle agenzie di rating nei confronti dei conti italiani. Per il professor Sisci «è semplicemente da dilettanti» stringere un accordo con la Cina, dimenticando di essere partner degli Stati Uniti: «C'è un'ipotesi su cui la politica seria deve ragionare: agganciarsi alla Via della Seta. Oggi con la Cina, domani con l'India, poi sarà il turno dell'Indonesia e il resto dell'Asia. È certamente un'opportunità. Ma non riguarda l'Italia, che è semplicemente un terminale. È impensabile fare un accordo senza discutere con l'Europa e gli Stati Uniti, che sono nostri alleati e partner, quindi imprescindibili per noi. È qui che esce fuori tutto il dilettantismo. Il governo avrebbe dovuto aprire una discussione interna e internazionale ampia su questo accordo, cosa che evidentemente non è stata fatta».

Anche sul contenuto dell'intesa, Sisci avanza dubbi: «Non so. Non si conoscono i contenuti. Non sappiamo di che cosa stiamo parlando. È difficile fare una previsione».

Non resta, dunque, che attendere il discorso del presidente del Consiglio Conte in Parlamento per capire verso quale meta la Via della Seta condurrà l'Italia.

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