Cronache

In città la condanna è di facciata Nel mirino anche rettore e polizia

Bologna prende le distanze, ma non tutti sono contro i black bloc E Sinistra Italiana presenta un'interrogazione parlamentare

La fontana del Nettuno a Bologna (da Wikipedia)
La fontana del Nettuno a Bologna (da Wikipedia)

A Bologna «la Dotta», «la Grassa», «la Rossa» eravamo abituati, ma a Bologna «la Meticcia» proprio no. Eppure è proprio questa la nuova frontiera global-terzomondista che non sa - ma soprattutto non vuole - condannare «senza se» e «senza ma» le violenze dei collettivi studenteschi (dove però di studenti doc ce ne sono ben pochi) che in queste settimane stanno avvelenando il mondo universitario: un esercito di 80mila giovani per i quali l'unica rivoluzione si chiama laurea. Non a caso sono stati loro i primi a sabotare i sabotatori. Da una parte la teppaglia antagonista che sradica i tornelli della biblioteca per continuare a tenerla nello status degradato di piazza di spaccio; dall'altra gli studenti «veri» che in biblioteca ci vorrebbero andare per leggere, preparare gli esami e non per trovare in bagno siringhe sporche di sangue. Il rettore è stato costretto a far intervenire la polizia. Sono volate manganellate. Ma la biblioteca di via Zamboni 26 è stata «liberata». Ora gli autonomi che l'avevano devastata accusano della devastazione le forze dell'ordine. I carnefici vorebbero spacciarsi per vittime, come lupi per agnelli. Ma il bluff è palese. I collettivi Cua, Hobo e Labàl sono stati smascherati. La città è solidale nel definire le loro azioni «criminali». «Delinquenti», li ha chiamati il sindaco del Pd, Ignazio Merola. Sulla stessa linea anche il rettore, gli studenti e anche un trasversale schieramento politico. Eppure c'è qualcosa che non torna.

In piazza Verdi, quartiere generale degli anarco-figli di papà c'è un graffito che inneggia al meticciato bolognese. Il disegno rappresenta un ragazzo di colore che si arrampica sulla torre degli Asinelli. La gente passa senza neppure degnarlo di uno sguardo. Qualcuno invece si ferma, sono gli stessi che dicono: «É giusto che i collettivi reclamino spazi di autonomia». Ecco, a Bologna c'è ancora chi la prepotenza dei black blok la chiama «spazio di autonomia» o, peggio, «diritto allo studio». Ma l'intellighentia radical chic bolognese è giustificazionista un po' per vezzo è un po' per indole. È la stessa sinistra con la puzza sotto il naso e la kefiah attorno al collo che segue le mostre di Arte Migrante («gruppo informale che pratica l'arte come strumento di inclusione delle persone») o gli spettacoli di Cantieri Meticci («compagnia teatrale impegnata nelle strutture di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati»). Chissà se qualcuno, tanto amante del «Legione straniera», la sera acquista roba anche dagli spacciatori magrebini che, secondo la Digos, si sono infiltrati anche tra i «bravi ragazzi» dei collettivi: era controllato da loro, ad esempio, il mercato della droga all'interno della biblioteca dello scandalo. Un territorio riservato che quei maledetti tornelli volevano ostacolare. E allora via, meglio sradicarli e gettarli davanti i rettorato. Una prova di forza. Condivisa da una frangia di vecchi arnesi della sinistra che continua a coprirsi gli occhi col prosciutto, rosso, dell'ideologia. Sono i professionisti del «sì, i giovani dei collettivi hanno sbagliato, ma...». E dietro quel «ma» c'è tutto un mondo di amarcord barricadero. Per trovarne conferma basta leggere l'interrogazione parlamentare presentata da tre deputati bolognesi di Sinistra Italiana (Giovanni Paglia, Nicola Fratoianni, Celeste Costantinoa) che chiedono se «si ritenga legittima e opportuna l'installazione di barriere all'ingresso di una sala studio e biblioteca che ne rendono oggettivamente più difficile la frequentazione». Sottinteso: «illegittimi» non sono i delinquenti, ma chi vuole fermarli. Altro punto dell'interrogazione: «Se ritenga sia stato messo in campo il dialogo necessario a stemperare la tensione». Sottinteso: bisognava dialogare con chi il dialogo lo ha sempre rifiutato opponendo solo violenza e arroganza.

Terzo punto dell'interrogazione: «Se risulti che le forze di polizia siano intervenute presso la sala studio di via Zamboni 36 su richiesta del rettorato e nel caso se ritenga che tale richiesta sia condivisibile». Sottinteso: il colpevole degli scontri è il rettore, non gli antagonisti.

Quarto punto dell'interrogazione: «Si chiede perché le forze di polizia abbiano adottato metodi tanto aggressivi in un luogo così palesemente inadatto». Sottinteso: colpevoli degli scontri sono le forze dell'ordine, non gli antagonisti. È la realtà alla rovescia.

Vista da sinistra.

Commenti