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Collaborazioni con Iran, Cina e Nord Corea. E per i "pacifisti" l'unico problema è Israele

Centinaia di accordi con regimi dittatoriali, però contestano solo lo Stato ebraico

Collaborazioni con Iran, Cina e Nord Corea. E per i "pacifisti" l'unico problema è Israele

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Vanno bene gli accordi con l'Iran, e con la Cina, vanno bene anche le collaborazioni con la Corea del Nord, o con chissà quale altro regime dittatoriale. E poi ovviamente va più che bene la Russia: sono moltissimi gli accordi in essere con la Russia.

No problem. Il problema, per i pacifisti, è soltanto Israele, come al solito: sempre e solo Israele, unica democrazia del Medio Oriente, per quanto in guerra.

Come accade nelle organizzazioni internazionali, a partire dall'Onu, così con gli studenti politicizzati, con i collettivi, con i centri sociali e con tutto quel mondo che si sta mettendo «in luce» a colpi di contestazioni, aggressioni verbali (e non solo) e per un'intolleranza terrificante che si è vista all'opera nelle piazze e nelle università: a Roma con il giornalista David Parenzo, a Napoli con il direttore di «Repubblica» Maurizio Molinari, a Torino con il tentato boicottaggio del bando ministeriale.

Gli studenti (di sinistra) «protestano», occupano le sedi universitarie, tengono in soggezione i rettori, dettano le delibere alle istituzioni accademiche, ma si occupano solo dello Stato ebraico, che è impegnato dal 7 ottobre nella repressione dei terroristi di Hamas e da 70 anni è alle prese con la minaccia - e con gli attacchi - dei vicini arabi.

Non hanno niente da dire, questi pacifisti-buonisti, sulle autocrazie, sulle dittature, sui regimi totalitari. Non hanno niente da eccepire, le femministe, sulla teocrazia iraniana, che opprime le donne, le arresta, le fa morire per un velo messo male. Non hanno niente da dire su un regime liberticida come quello nordcoreano. E niente hanno da dire sulla Russia che ha invaso l'Ucraina.

Eppure, nell'atto di firmare accordi con le Università straniere, gli atenei italiani non fanno troppo i «difficili»: sono centinaia infatti le collaborazioni di dipartimenti e ricercatori coi colleghi di mezzo mondo, senza badare troppo alla forma di governo imperante. Risulta che fisici ricercatori dell'università Kim Il-sung di Pyongyang, il principale ateneo della Corea del Nord abbiano in passato stretto un accordo con la Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste, proprio mentre. Stessa cosa per l'Università di Chieti-Pescara. E a Pisa, città di università antiche e prestigiose, un Istituto Confucio è stato aperto presso il Sant'Anna, Scuola superiore d'eccellenza. Fa parte della rete degli Istituti promossa dal ministero cinese dell'Istruzione in oltre cento paesi del mondo, ufficialmente con l'obiettivo di diffondere la lingua e la cultura cinesi, ma di fatto - per molti - anche per influenzare i Paesi ospitanti. Una specie di «Via della Seta accademica», per esempio, è quella percorsa fra gli altri da Oliviero Diliberto, ex ministro e leader comunista italiano, giurista e professore alla Sapienza di Roma e a Wuhan.

Non si contano poi le collaborazioni con l'Iran, e con la Russia. Centinaia di accordi. Liberi. E forse è giusto così, se non sono il veicolo di condizionamenti surrettizi (cosa possibile nei regimi, dove neanche la cultura è libera).

Se si tratta di ricerca, le università sono luoghi (relativamente) liberi, di cultura e ricerca, e collaborare con questi luoghi significa coltivare la libertà. Ma allora perché, secondo gli studenti pacifisti, il problema esiste solo per le università israeliane?

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