Cronache

Don Gelmini, una vita da prete coraggioso

Un'esistenza da romanzo per salvare i giovani dalle tossicodipendenze. Gettato nel fango con le accuse di violenza

Don Gelmini, una vita da prete coraggioso

Era figlio di quel cattolicesimo lombardo che considera la terra l'anticamera del cielo. E anzi, pensa che non si possa andare in cielo senza impastare la terra con le mani. Un modo di essere solare, concreto e insieme visionario. Don Pierino Gelmini, classe 1925, nato a Pozzuolo Martesana, un tiro di schioppo da Milano, fratello dell'altrettanto celebre Padre Eligio, il francescano alla guida spirituale del Milan anni Settanta e amico di Gianni Rivera, esprimeva questo tratto e per un tratto di strada, lungo in verità, è stato un modello e un esempio per molti. Poi negli ultimi anni era scesa la notte, con quelle accuse infamanti, dodici episodi di corruzione di minorenne. Quei capi d'imputazione sono stati sepolti con lui, come spesso capita in Italia, senza arrivare ad una conclusione: estrema prova per un uomo di fede oppure la cronica incapacità della giustizia di colpire la perversione. Non si sa. E il giudizio è affidato alla sensibilità di ciascuno di noi.

Certo, don Gelmini ha creato e innaffiato un'opera straordinaria: la Comunità incontro. Che in realtà va declinata al plurale, perché si tratta di più di duecento strutture sparse nel mondo che si rifanno al suo insegnamento. Un albero frondoso, dai tanti frutti. La storia comincia con una folgorazione, come capita ai grandi temperamenti religiosi. E' il 1963 e il giovane sacerdote incrocia un tossicodipendente in piazza Navona: «Zì prete, dammi una mano, non voglio soldi, ma sto male». Don Pierino se lo porta a casa e comincia ad occuparsi dei derelitti scoprendo la propria vocazione. È la cifra del cristianesimo, particolarmente di quello a trazione ambrosiana, che fa germogliare il bene dentro i disastri della società e che ha dato risultati portentosi: basti pensare a don Gnocchi, che nell'inferno della ritirata di Russia benedice gli alpini morenti e torna a Milano con un'idea in testa. Occuparsi dei loro figli. Un'intuizione che aprirà una strada: l'assistenza ai mutilatini. Oppure, si potrebbe citare, per altri versi, don Giussani che nel 1954 incontra al liceo Berchet un gruppo di ragazzi e chiede: «Voi chi siete?» Alla risposta, «Siamo i comunisti», si accorge che i cristiani latitano e allora comincia a ritrovarsi con qualche allievo, dando così il via a Comunione e Liberazione.

Don Gelmini cerca una risposta alla grande emergenza delle droga che flagella i figli della borghesia lombarda dopo il Sessantotto e penetra nelle classi popolari. Il suo cammino, come quello di quasi tutti gli innovatori, non è un passeggiata ma un bagno nelle contraddizioni del mondo. E per cambiare qualcosa, bisogna anche sporcarsi le mani. Vale o dovrebbe valere l' omnia munda mundis di San Paolo. Solo che don Pierino, a sentire i suoi detrattori, se le sporca un po' troppo. Lo arrestano una prima volta già nel '69 per emissione di assegni a vuoto, truffa e fallimento. Pare un incidente, ma non sarà l'unico di una vita lunga e movimentata. Nel '79, intanto, la Comunità Incontro prende la forma definitiva a Molino Silla in provincia di Terni. I ragazzi che vengono aiutati e rimessi in carreggiata sono migliaia. Un numero senza fine. Ma accanto al lato luminoso c'è quello oscuro, o, se si preferisce una lettura meno sofisticata, c'è l'esuberanza irrefrenabile di un uomo sopra le righe. Un prete che non ha paura del marciapiede, che ama le bandiere e le appartenenze, che si schiera. E così viene etichettato come una sorta di cappellano del centrodestra, vicino, vicinissimo al Cavaliere, tanto che a un certo punto sembra sul punto di diventare uno dei suoi ministri. Nel 2001 celebra la messa per l'anniversario della morte di Craxi; nel 2005, per l'ottantesimo compleanno, Berlusconi stacca un assegno da 5 milioni di euro. Esposto, troppo esposto, don Gelmini. La sua forza, la sua dismisura sono anche il suo tallone d'Achille. Irregolare, ingovernabile, controverso: forse non è un santo ma per fortuna nemmeno un santino, di quelli da venerare nell'immobile penombra di una nicchia. La sua religiosità è tutto il contrario di quella che ha preso piede in tante diocesi italiane dopo il Concilio e che si esprime con modalità quasi protestanti, una spiritualità asettica e spiritualizzata che ha perso per strada il corpo e i suoi bisogni.

Al crocevia di tutte queste tensioni, don Gelmini vive un equilibrio precario. Sempre più scivoloso. E il suo percorso si fa sempre più accidentato: diventa vescovo della chiesa cattolica Greco-melchita, poi negli ultimi anni ottiene dal Papa la riduzione allo stato laicale. Nel 2010, infine, lo scandalo degli scandali: i presunti abusi sessuali. Una dozzina di episodi, dal 1997 al 2007. «Come posso aver fatto certe cose alla mia età?», è la sua difesa. La sentenza non arriverà più. Il processo, all'italiana, è stato un susseguirsi di rinvii. Anche perché ormai don Pierino stava male. Molto male. La prossima udienza era stata fissata al 4 marzo 2015. Troppo in là.

Il verdetto è sospeso, l'opera vivrà.

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