Politica

"Il comunismo ha fallito" Bertinotti sogna un patto tra la sinistra e i liberali

L'ex leader di Rifondazione: serve un "nuovo progetto costituente" per riformare il lavoro e superare gli errori di marxismo e capitalismo

Fausto Bertinotti
Fausto Bertinotti

Pubblichiamo integralmente l'intervento firmato da Fausto Bertinotti sulle pagine del Garantista, quotidiano diretto da Piero Sansonetti. Secondo l'ex presidente della Camera ed ex segretario del Partito della Rifondazione comunista «bisognerebbe riaprire il libro del confronto tra le grandi culture politiche». Bertinotti ritiene necessario «un nuovo progetto costituente», che faccia tesoro della lezione della Storia perché sia il movimento operaio sia il capitalismo «sono falliti» per motivi differenti.

Il vecchio marxista si è fatta l'idea che bisognerebbe riaprire il libro del confronto tra le grandi culture politiche. L'idea, peraltro non nuova, gli è venuta dalla vista del deperimento di queste stesse culture politiche. Nel nostro tempo, in questa Europa reale che si viene costituendo, la politica è ridotta alla governabilità, e la governabilità degli Stati nazionali, come dell'Europa sopranazionale, è sovrastata dall'economia reale e dal mercato. Anzi, si può dire che la politica ridotta a governabilità fa parte del funzionamento stesso del capitalismo finanziario globale.

Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace. Tanto che l'alternativa è stata cacciata dalla scena della politica, sostituita dalla ineluttabilità delle scelte. Così è morta la più grande delle ambizioni della politica: l'autonomia. In questo panorama desolante, è difficile non vedere in esso la sconfitta storica delle grandi culture politiche europee.

Perciò il vecchio marxista riaprirebbe quel libro proprio sulla base di due constatazioni: la prima riguarda le dure repliche della Storia al gigantesco tentativo del movimento operaio di realizzare nel Novecento - col superamento del capitalismo - una società di liberi ed eguali, la società socialista. Quel grande tentativo è fallito nella costruzione delle società post-rivoluzionarie. È fallito nell'Unione sovietica. Mentre più in generale il movimento operaio è stato sconfitto nel suo secolo, il Novecento. Fin qui le dure repliche della Storia. Ma il capitalismo che si è costituito dopo il Novecento è peggio di quello che il movimento operaio aveva combattuto e contribuito fortemente a migliorare con le sue conquiste sociali, costringendolo di fatto al compromesso democratico.

Il capitalismo che si viene costituendo ora nasce sulle orme di una cinica rivincita contro quell'ascesa. Ritorna per molti versi all'Ottocento e per altri versi propone forme di alienazione sinora sconosciute.

L'analisi critica del capitalismo finanziario globale mostra, per un verso, lo sfruttamento e l'alienazione delle nuove forme di accumulazione, e insieme la sua difficoltà ad uscire stabilmente dalle crisi che essa stessa genera. Ma ci serve anche Foucault, per leggere nelle profondità di questo nuovo mondo e nella bio-politica la nuova vocazione totalitaria di questo capitalismo e la sua propensione a costituirsi in «stato di eccezione».

Ma se è così, gli sconfitti non siamo solo noi eredi del movimento operaio. Sconfitte sono anche le due grandi culture che hanno segnato la storia della civilizzazione dell'Europa: quella liberale e quella del cattolicesimo democratico in politica. Due grandi culture che hanno contribuito alla formazione di un umanesimo europeo e che ora vengono sconfitte dall'avvento della «cosa».

La riapertura del dialogo tra esse non può certo fondarsi su una qualche reciproca compassione. Dobbiamo anche ammettere che tra esse c'è chi sta peggio e chi meno peggio. La presenza della Chiesa, pure assai ammaccata, in questo mondo sconvolto, regge meglio di altri soggetti la sfida. Come testimonia lo straordinario pontificato di Papa Francesco.

Un tempo, dopo il Concilio, visse la stagione del dialogo tra marxisti e cristiani. Oggi il dialogo si colloca su un altro orizzonte, che non è quello della speranza di ieri ma della necessità storica di oggi che consiste nel liberarsi da un incubo in cui siamo precipitati.

Marxisti e liberali hanno attraversato tutta la modernità fin dalla nascita della politica per come la conosciamo. C'è stato il tempo della contaminazione, c'è stato il tempo della sfida, c'è stato il tempo del confronto e della ricerca, c'è stato, infine, il tempo dello scontro. E lo scontro si è prodotto quando queste culture, sia quella marxista che quella liberale, si sono fatte Stato.

Con il mondo diviso in due blocchi contrastanti, i socialisti sono finiti col legare la loro storia al socialismo reale, così come i liberali hanno fatto con il capitalismo. Entrambi si sono impoveriti, fino a smarrire a volte le ragioni delle loro fondazioni. Forse in questi appiattimenti, in questa accettazione del realismo della storia, ci sono anche le ragioni della loro sconfitta.

Ci sono stati tempi diversi. Basterebbe leggersi il carteggio pubblicato di recente tra Croce e Gentile negli ultimi anni dell'Ottocento. E lì si vede, tra due filosofi del pensiero liberale, tutto l'interesse che muoveva in loro l'avvento di Marx nella storia del pensiero e tutta l'esigenza di farvi i conti. Ma ancora di più nella Resistenza contro il fascismo, nel concorso a costruire una cultura che sarebbe stata poi quella dell'antifascismo, liberali e marxisti seppero interrogarsi sulle ragioni che avevano portato alla vittoria del nazifascismo, alla Seconda Guerra Mondiale e all'orrore di Auschwitz e della Shoah. Ma seppero anche incrociare studi, ricerche e riflessioni sul futuro dell'Italia liberata, in un confronto così fertile da dar luogo ad una rivoluzione nel pensiero costituzionale come quella che ha fatto nascere le Costituzioni democratiche. Oltre i confini delle vecchie Costituzioni liberali. Mettendo le mani in un nuovo progetto costituente, bisognerebbe almeno ricordare quella lezione.

Gli eredi del movimento operaio potrebbero portare in dote, estratta dalla sconfitta di oggi, il bagaglio dell'articolo 1 e dell'articolo 3 della Costituzione repubblicana, cioè l'idea dell'eguaglianza. I liberali potrebbero portare in dote, liberandola dalla prigione dell'Europa reale, l'idea di Ventotene.

Quel che al vecchio marxista interessa non è la riscoperta dell'influenza che la filosofia idealista e il pensiero liberale hanno sempre esercitato sul marxismo italiano (influenza che è stata fin troppo grande e non sempre benefica). Quel che gli interessa sono le battaglie dei liberali di oggi sui terreni nevralgici del dominio del nuovo capitalismo, dove si distruggono legalità, democrazia e dignità della persona. Gli interessa la loro trasparente ispirazione garantista. Gli interessa la rivendicazione del diritto individuale contro la mostruosità della «cosa». Gli interessano le battaglie di Marco Pannella e dei radicali nelle carceri, quel luogo di sofferenza umana che Michel Foucault vedeva come prisma entro cui leggere la formazione dello stato d'eccezione e la privazione dei diritti di tutti.

Al vecchio marxista piacerebbe che a questi liberali interessasse chi si batte altrettanto concretamente per la giustizia sociale e l'eguaglianza. Entrambe queste grandi culture sconfitte possono contribuire a costruire un futuro di liberazione, se sapranno ripartire da una pratica condivisa di liberazione.

Domenica a Pescasseroli Pannella e i radicali organizzano un convegno su Benedetto Croce e Ignazio Silone.

Al vecchio marxista piacerebbe che il Croce più celebrato fosse quello che nel 1944 (se non ricorda male) diceva che il pensiero liberale si sarebbe salvato solo liberandosi dal liberismo.

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