Cronaca nera

L'omicidio Pike, la condanna e l'ergastolo: da sempre Chico Forti grida la sua innocenza

Alla fine, poteva andargli peggio: perché la Florida, il Sunshine State, è uno degli stati americani dove la pena di morte è legale, dove lo stantuffo dell'iniezione letale funziona davvero

L'omicidio Pike e la condanna all'ergastolo: da sempre Chico Forti grida la sua innocenza

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Quella condanna all'ergastolo per l'omicidio Pike. Da sempre grida la sua innocenza

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Alla fine, poteva andargli peggio: perché la Florida, il Sunshine State, è uno degli stati americani dove la pena di morte è legale, dove lo stantuffo dell'iniezione letale funziona davvero: ultima volta appena quattro mesi fa toccò a un presunto killer di nome Michael Zack, mandato al Creatore nel carcere di Raiford. Anche Enrico «Chico» Forti per la giustizia statunitense è un assassino, ma il giudice che lo dichiarò colpevole si fermò un passo prima di dare lavoro al boia: ergastolo senza possibilità di liberazione anticipata, diceva la sentenza. Una sentenza terribile, ma che ha lasciato aperta la strada della speranza, costellata di falsi spiragli fino alla vittoria di ieri.

Quello che tra poco sbarcherà in Italia è un uomo molto diverso dal giovanotto che nel febbraio del 1998 andò a sbattere contro le manette della polizia di Miami: brusco arresto di una vita brillante e giramondo, tra sport, spettacoli e affari improbabili. Forti, fino a quel giorno, è l'esemplare di una razza italiana che tutti conosciamo: quelli per cui un lavoro fisso è un inferno, la scrivania un giogo da buoi. Parte da Trento, inizia a respirare aria di mondo a Bologna, a farlo decollare anche fisicamente è l'incontro col windsurf, si appassiona, diventa bravissimo, capisce che intorno a quella tavola che sfreccia sulle onde c'è un business pronto da sfruttare. Programmi tv, presenze accanto a un altro campione sfortunato come Ambrogio Fogar. Filmati, business, emittenti straniere, sono i rutilanti anni Ottanta e Chico è uomo dei suoi tempi. Il caso o il fiuto: cambia aria all'inizio del nuovo decennio, quando in Italia quel mondo facile e gaudioso si avvia al suo cupo crepuscolo. Va in America. Perché lì, per uno come lui, le possibilità non finiscono mai.

Di là dall'Atlantico, però, non gli va benissimo. È brillante, è guascone, ma lì come lui ce ne sono tanti, forse troppi. Così, mese dopo mese, segue la china comune a tanti italiani del suo stampo: esplora l'arte di arrangiarsi, di inventarsi affari veri o improbabili. Come quello che alla fine lo mette nei guai, l'acquisto di un albergo di Ibiza, il Pikes reso celebre dalle rockstar - dai Wham a Freddy Mercury - che lo popolavano negli anni Ottanta. Il vecchio fondatore è stanco e malconcio, Chico e un amico ci mettono su gli occhi. I soldi per comprarlo forse ce li hanno, forse no. Va a finire che il figlio di Pike (nella foto) vola a Miami per incontrare l'italiano, chiedergli conti e spiegazioni. E il giorno dopo il suo corpo mezzo nudo viene trovato su una spiaggia, ammazzato a colpi calibro 22.

Colpevole o innocente, Chico Forti? Lui giura di non entrarci, con la morte di Pike junior: dal primo giorno, con ostinazione, per ventiquattro anni. Dà la sua versione, non sempre coerente, non sempre la stessa. Ma sono ombre che non impediscono che accanto a lui si schierino artisti e intellettuali, Enrico Ruggeri incide Canzone per Chico Forti, come Guccini aveva fatto per un'altra italiana sepolta in un carcere Usa, Silvia Baraldini. La Baraldini, quella che venne portata in Italia con la promessa agli americani di farle scontare la pena qui, e che venne liberata dopo solo due anni. E chissà se quel precedente non abbia bloccato a lungo le possibilità di riportare in Italia anche Forti.

Ora Chico ce l'ha fatta. Pochi giorni fa, l'8 febbraio, aveva celebrato in cella nel carcere di Florida City il suo sessantacinquesimo compleanno. «Degli oltre duemila italiani incarcerati nel mondo - calcolò in quella occasione suo zio Gianni - Chico ha il record assoluto di permanenza in carcere». Ventiquattro anni sono una vita, una infinità. Le ultime foto ci rimandano un uomo anziano, in pigiama azzurro, lontano parente del ragazzone precocemente stempiato che sorrideva all'obiettivo con un windsurf sottobraccio. Suo padre, che si è battuto per anni per riaverlo in Italia, è morto prima di poterlo riabbracciare in patria.

Sua madre Maria, a novantacinque anni, invece non ha mollato, e tra poco potrà rivedere il suo «ragazzo», partito trent'anni fa a sfidare il mondo come la cresta di un'onda in sella alla tavola a vela.

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