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La Consulta salva Renzi: via 35 miliardi di buco

Il blocco dei contratti nella pubblica amministrazione è «illegittimo», ma la censura della Corte Costituzionale non riguarda il passato. La Consulta, dopo due giorni di camera di consiglio, ha optato per la soluzione attesa alla vigilia: apertura agli aumenti contrattuali al 2016 e nessun indennizzo per il passato. A differenza di quanto accaduto con la sentenza riguardante la mancata indicizzazione delle pensioni, l'articolo 81 della Costituzione - che sancisce il pareggio di bilancio - questa volta è stato tenuto in buon conto. La «politica» è riuscita a prevalere.

La sentenza, però, produrrà effetti economici significativi, considerato che lo sblocco si applica a una platea di circa 3,3 milioni di dipendenti per un costo stimato tra i 5 e i 7 miliardi di euro, anziché i 35 miliardi paventati dall'Avvocatura dello Stato nella propria memoria difensiva. Poiché nel 2016 il rapporto deficit/Pil è stimato in flessione all'1,8% dal 2,6% atteso quest'anno, il «colpo» si può assorbire più facilmente: non ci sarà nessuna voragine nei conti. Resta, però, aperta una questione politica di più complessa decifrazione. Come ha spiegato l'ex presidente della Consulta, Cesare Mirabelli, mentre sulle pensioni è stato considerato «illegittimo» il blocco della perequazione poiché «sospendeva l'applicazione di norme in vigore», in questo caso l'illegittimità è «sopravvenuta»: cioè la situazione emergenziale del periodo 2011-2014 giustificava la stretta, ma ora occorre riaprire i tavoli della contrattazione. Con ovvio giubilo dei segretari generali di Cgil (Camusso), Cisl (Furlan) e Uil (Barbagallo). Il paradosso, tuttavia, è rappresentato dal fatto che la Corte Costituzionale abbia in questi ultimi tempi tutelato categorie che sono già strutturalmente «difese» dalle leggi vigenti. I diritti acquisiti dei pensionati sono rimasti intatti: gli assegni previdenziali, infatti, non sono mai stati tagliati. Analogamente, i dipendenti pubblici - ancor di più alla luce delle nuove normative del Jobs Act - sono gli unici in Italia a godere della sicurezza del posto di lavoro che hanno mantenuto durante gli anni di crisi e che continueranno a conservare, restando di fatto illicenziabili. A queste tutele si aggiunge anche un trattamento economico migliore rispetto al settore privato. Nel 2014, secondo la Cgia di Mestre, gli impiegati statali primi hanno conseguito retribuzioni medie di 34.286 euro, i privati di 32.315 euro. Una differenza di circa 2mila euro che evidenzia come, nonostante il blocco dei contratti, le disparità non si siano affatto assottigliate. In particolare, aggiungono gli artigiani mestrini, nel pubblico le retribuzioni più ricche sono pagate tra gli enti previdenziali (Inps e Inail): l'anno scorso il dato medio lordo è stato di 44.199 euro. In seconda posizione i dipendenti delle amministrazioni locali (Comuni, Province e Regioni), con 35.651 euro e quelli delle amministrazioni centrali (33.003 euro).

Certo, nel periodo 2010-2014 le retribuzioni sono rimaste ferme contribuendo - assieme al blocco del turnover - a ridurre il capitolo stipendi di circa 10 miliardi a quota 162 miliardi. Ma, dall'altra parte, il settore privato ha pagato una crisi senza precedenti che si è tradotta in un aumento della disoccupazione al 12,4% e nella perdita di oltre il 20% della produzione industriale. Nell'ultimo quinquennio ogni anno hanno chiuso i battenti circa 350mila imprese. Ieri l'imprenditore padovano Egidio Maschio si è suicidato per le difficoltà della propria azienda. Forse la Corte Costituzionale avrebbe potuto ricordare anche questi particolari.

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