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Conte apre il fronte tedesco "No al seggio Onu a Berlino"

Il premier cerca di mettersi di traverso nell'asse tra Francia e Germania: «Il posto permanente tocca all'Ue»

Conte apre il fronte tedesco "No al seggio Onu a Berlino"

È dura la vita per chi, nel governo, deve fare il pompiere sì, ma populista. Prendete il povero Giuseppe Conte, per esempio. Ieri, in trasferta al forum di Davos, il premier ha dovuto arrampicarsi sugli specchi: il mandato che aveva era da una parte (e su pressing del Quirinale) ricucire la tela con gli alleati Ue, evitando ulteriori strappi per non accentuare il già grave isolamento dell'Italia. Dall'altra non smentire la linea dei suoi controllori politici di Lega e Cinque Stelle.

Così Conte ha dapprima provato a scavalcare Francia e Germania sull'europeismo, criticandoli non con i beceri argomenti (infondati) usati da Di Maio e Di Battista ma perché non farebbero abbastanza per l'Unione: «Parliamo tanto di ideali europei, ma poi bisogna essere coerenti, altrimenti non si è più credibili». Nel mirino l'intesa di Aquisgrana tra Berlino e Parigi, che ha tagliato fuori il governo gialloverde, dimostratosi incapace di inserirsi nel gioco rivendicando il proprio ruolo di fondatore europeo, e di continuare il lavoro dei governi precedenti per arrivare ad un'analoga intesa Italia-Francia.

Conte attacca l'ipotesi di un seggio permanente Onu ai tedeschi: «Leggiamo nel trattato che la priorità della diplomazia franco-tedesca è allargare il consiglio di sicurezza Onu a un singolo stato membro dell'Unione. Non si è però sempre detto che l'Unione europea dovrebbe avere un proprio seggio permanente?», chiede polemico. Poi difende la Bce e chiede che ne vengano rafforzati i poteri: «Possiamo mai dire che la Bce essendo una banca centrale ha potere valutario adeguato? E invece dobbiamo dirci apertamente che dobbiamo rinforzare il sistema europeo sennò alimentiamo le spinte nazionali».

Questo il Conte del mattino. Nel pomeriggio, il premier deve cambiare spartito e lisciare il pelo ai suoi referenti grillo-leghisti. Così, in un intervento in inglese (con una pronuncia da far rimpiangere come oxoniano l'inglese di Matteo Renzi) nel plenum di Davos, il premier legge un peana del populismo: «L'Europa che sogniamo è un'Europa del popolo, fatta dal popolo e per il popolo», declama in omaggio a Salvini e Di Maio. Segue critica all'euro, che secondo lui ha causato «un crescente debito pubblico» e ha «frenato la crescita del Pil». Infine l'affondo contro Parigi sul caso Fincantieri: «È paradossale che mentre si crea un campione europeo della cantieristica per competere più efficacemente sui mercati, la Francia coinvolga la Commissione in modo così ambiguo».

A Davos erano presenti anche i ministri dell'Economia Tria e degli Esteri Moavero, entrambi membri della componente «pompieri» che tenta - in genere con scarsa incisività - di porre rimedio ai danni causati dai vicepremier alle relazioni internazionali. «Nessuno vuole uno scontro, né con la Francia né con la Germania. Non dico che non ce lo possiamo permettere, ma non lo vogliamo», ha spiegato Tria a Sky TG24. «Anche se ce lo potessimo permettere - ha proseguito -, non vedo perché dovremmo avere uno scontro con due Paesi europei con cui conviviamo e con cui in genere andiamo d'accordo sulle strategie. Poi è chiaro che si possono avere discussioni su singoli punti, ma in sede europea ogni Paese discute con gli altri per cercare soluzioni comuni». A tamponare lo scontro con la Germania sulla missione Sophia interviene Moavero: «L'Italia non ne ha mai chiesto la chiusura - assicura - Ha chiesto che siano cambiate le regole per gli sbarchi».

E a sera Conte cerca un chiarimento con Merkel per ribadirle lo stesso concetto, e provare a chiudere almeno questo fronte.

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