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Conte getta acqua sul fuoco: "Tria? Massima fiducia in lui"

Il premier mette in sicurezza la manovra dopo l'uscita del suo portavoce. Ancora ritardi per il decreto Genova

Conte getta acqua sul fuoco: "Tria? Massima fiducia in lui"

«Fiducia in Tria? Ho massima fiducia, in lui così come in tutti i miei ministri». Il premier Giuseppe Conte è stato costretto dal «caso Casalino» a difendere il ministro dell'Economia per tappare i primi segnali di una crisi inaspettata.

«Ho letto qualche polemica che lascia il tempo che trova», ha sottolineato aggiungendo che «le strutture burocratiche, le strutture amministrative sono a servizio delle iniziative che facciamo, quindi c'è un dialogo serrato e tocca a noi indirizzarle, dare indicazioni politiche e sollecitare le risposte tecniche che sono funzionali per realizzare il nostro programma». Si tratta delle analoghe valutazioni fatte filtrare da via XX settembre sabato scorso per arginare la protervia pentastellata che intende imporre al ministro Tria di aumentare l'asticella del deficit/Pil sopra l'1,6% cui il Tesoro parrebbe voglia fermarsi, annunciato per garantire il finanziamento del reddito di cittadinanza (almeno 10 miliardi).

Nella settimana che si concluderà con la presentazione della Nota di aggiornamento al Def (il termine scade giovedì 27) tenere aperto un fronte così destabilizzante sarebbe pericoloso e Conte ha vestito così i panni del pompiere. Tanto più che il vicepremier Matteo Salvini aveva invitato Tria a essere «coraggioso» e a varare «una manovra espansiva» pur definendo «incauto» Casalino. D'altronde, per Conte sostenere Tria ha una duplice valenza: non solo spostare i riflettori dal caos pentastellato ma anche frenare la preponderanza di una Lega più abituata al governo e in grado di prendere con più disinvoltura l'iniziativa politica anche sui temi delicati della manovra. È stato proprio Salvini a sostenere che «gli sprechi si devono toccare e i costi standard saranno importanti» di fatto invadendo il campo M5S e del ministro della salute Giulia Grillo che invece ha chiesto un aumento di spesa.

Insomma, Conte deve serrare le fila perché il modo di governare dei pentastellati si sta rivelando grossolano. È il caso del decreto Genova per la ricostruzione del Ponte Morandi che di fatto è bloccato da dieci giorni tanto che non è stato ancora inviato al Quirinale a causa delle frizioni tra i due partiti di maggioranza. Il sottosegretario Giancarlo Giorgetti ha smentito di aver affermato che gli esponenti M5s «non conoscono il diritto», come riportato dalla Stampa, ma in ambienti del Carroccio il termine più ricorrente nei confronti del provvedimento è «pasticcio» e i motivi sono noti: l'esclusione ex abrupto di Autostrade per l'Italia dalla ricostruzione il coinvolgimento di Fincantieri che non disporrebbe delle certificazioni necessarie per intervenire sulla ricostruzione dell'infrastruttura.

«Non guardiamo alle logomachie (dispute verbali, ndr) ma lavoriamo per il bene del Paese», ha detto ieri Conte, ma oggi il Consiglio dei ministri non si preannuncia per nulla semplice. E, di sicuro, talune fughe in avanti non aiutano. Come quella del ministro degli Affari europei, Paolo Savona, che ieri a Mezz'ora in più.

«Non esiste un piano B del governo per uscire dall'euro, ma un gruppo dirigente serio deve essere preparato a ogni evenienza», ha ripetuto.

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