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Conte premier, resta Di Maio. Governo di sinistra M5s-Pd

Zingaretti resta prudente ma l'accordo è a un passo L'interlocutore del Pd ormai è il presidente del Consiglio

Conte premier, resta Di Maio. Governo di sinistra M5s-Pd

È fatta. Dopo lungo e faticoso travaglio, il nuovo governo sembra lì lì per nascere. Nicola Zingaretti si mostra ancora prudente: «Ci stiamo lavorando, e dovrà essere di svolta. Non vogliamo che faccia la fine del precedente», dice sornione.

Il segretario del Pd, assediato da giorni nel partito e fuori, alla fine ha ceduto: via libera alle trattative con i grillini, e via libera anche al nome del premier uscente (e rapidamente rientrante) Conte. I Cinque stelle celebrano «la caduta del veto Pd». Ma intanto Zingaretti si riprende la scena: ora (lo dice anche Renzi, non si sa con quanto entusiasmo) tocca a lui decidere e scegliere. Ieri Zingaretti si è già tolto una prima soddisfazione: ha accettato di incontrarsi nel tardo pomeriggio con Luigi Di Maio, ancora (per poco) «capo politico» del partito della Casaleggio, a Palazzo Chigi, dove il povero ex vicepremier si è asserragliato tentando di resistere. Ma una volta lì, dopo i saluti di circostanza, il segretario Pd ha spiegato che non poteva essere con Di Maio, fido gemello di Salvini, il summit decisivo: il mio interlocutore a questo punto è Conte, ha fatto capire prima di alzarsi e andarsene dopo un quarto d'ora appena.

Un modo per segnalare sia a Gigino (che tenta di resistere facendo uscire messaggi bellicosi sui Dem che «vogliono solo poltrone») che agli osservatori esterni che le decisioni serie non si prendono con lui. E che il Pd considera il felpato democristiano mancato Conte come vero, nuovo «capo politico» dei grillini. Conte, che peraltro aveva già avuto modo di sentirsi con i Dem mentre era ancora a Biarritz, avalla la decisione, e fissa l'incontro alle 21, al suo rientro.

Così, dal Nazareno è stato liquidato con un'alzata di spalle anche l'ultimo tentativo di Di Maio di far saltare l'accordo giallorosso che segnerà le sue sorti: il grillino ha chiesto di restare vicepremier, e che ai Cinque stelle andassero sia il Viminale che il commissario europeo che va nominato a breve. «Tu devi essere l'altro vice», ha detto a Zingaretti. La cui risposta è stata cortese ma perentoria: non se ne parla. Di Maio avrà un solo ministero, forse la Difesa, dicono al Nazareno. Il ruolo di vicepremier, stavolta unico, dovrebbe andare ad un Pd: Andrea Orlando, ma si parla anche di Dario Franceschini, uno dei registi dell'operazione governo.

Del resto, una volta presa la decisione più difficile, quella del sì a un governo ad alto rischio, e inghiottito l'amaro boccone di differire le elezioni, il leader Pd sapeva di avere a che fare con un partito molto più disperato del suo. Se il Pd, in caso di fallimento, ha comunque la strada del voto, per il partito della Casaleggio le elezioni, e la conseguente decimazione della sua rappresentanza parlamentare e delle entrate della Casaleggio, vanno evitate a qualunque costo. A volerle, infatti, sono solo disoccupati come Di Battista e prossimi disoccupati come Di Maio, e un po' di loro fedelissimi, esclusi ieri dalle riunioni decisive con Casaleggio junior. Quanto alla strada del ritorno con la Lega è anch'essa una via senza uscita: la rottura di questi giorni, e le parole ultimative di Conte hanno precluso qualsiasi ribaltone dell'ultimo miglio. I Cinque stelle sono insomma con le spalle al muro, e si aggrappano alla «consultazione» sul blog Rousseau per far finta di far approvare alla misteriosa «base» quel che è già stato deciso. E ora - dicono al Nazareno - «le condizioni le poniamo noi». L'incontro notturno tra Zingaretti e Conte (con Orlando e Di Maio ad accompagnarli) è solo il primo round, e anche il premier dimissionario sa che, ottenuto di non spostarsi dalla poltrona, dovrà concedere molto sul resto.

Un prezzo che Conte è ben lieto di pagare.

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