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Conte respinge gli esuberi ma per Mittal ormai è tardi

Il governo prova l'ultima carta: penale da 700 milioni con 4.700 uscite. La caccia disperata a un piano B

Conte respinge gli esuberi ma per Mittal ormai è tardi

Il governo respinge al mittente il piano ArcelorMittal e la proposta di 4700 esuberi. E si appella alle clausole del contratto di cessione minacciando una penale da 700 milioni di euro per la multinazionale franco-indiana, esattamente la stessa cifra che dovrebbe perdere il gruppo nel 2019. La procura ha sempre parlato di 700 milioni e solo ieri l'ad di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli, avrebbe alzato la stima a 1 miliardo. Nel primo o nel secondo caso, un bagno di sangue che potrebbe arrivare a 1,7 miliardi. «Il progetto non va assolutamente bene, mi sembra sia molto simile a quello originario. Lo respingiamo e lavoreremo agli obiettivi che ci siamo prefissati col signor Mittal e che il signor Mittal si è impegnato personalmente con me a raggiungere, e ci riusciremo», ha detto ieri il premier Giuseppe Conte. Dichiarazioni che, dopo le schiarite dei giorni scorsi, riportano la trattativa al punto di partenza con i lavoratori e i sindacati sul piede di guerra e pronti a fare sciopero il 10 dicembre.

Ma il pressing vero sulla multinazionale si sta giocando sul piano legale. La penale (la clausola, non lo scudo tanto evocato) è il nuovo cavallo di Troia della trattativa, per questo, verrà chiamata in causa anche dai commissari straordinari dell'Ilva nel ricorso d'urgenza ex articolo 700 incardinato davanti al giudice Claudio Marangoni del Tribunale di Milano. Prevista nel contratto di affitto, riguarda la violazione dell'obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali: in sostanza, la multinazionale potrebbe essere chiamata a sborsare 150mila euro per ogni lavoratore licenziato: conti alla mano per 4.700 dipendenti poco più di 700 milioni. Ma si tratta di un'arma a doppio taglio. Allo stesso tempo, proprio nel contratto, è indicata un'apertura alla possibilità di cambiare «l'assetto industriale» in «presenza di scostamenti significativi della situazione economica e di mercato rispetto alle assunzioni alla base del piano industriale». Un passaggio delicato, anche se poco dopo, sempre nel contratto, viene comunque ribadito: «Fermo restando l'obbligo di garantire la continuità produttiva () e il mantenimento dei livelli occupazionali in conformità con quanto previsto nel presente contratto». Insomma, sul punto gli avvocati potrebbero darsi battaglia. Nel frattempo, al governo si lavora per tentare il tutto per tutto e studiare un piano b. Martedì 10 tornerà a incontrarsi il gruppo tecnico che giovedì ha fatto il punto prima del tavolo al Mise. A farne parte dovrebbero essere ancora il consulente del governo Francesco Caio, ex ad di Poste Italiane, Lucia Morselli e i rappresentanti dei ministeri dell'Economia e dello Sviluppo economico. L'idea è quella di cercare di ridurre il numero di esuberi e poi subentrare con un paracadute pubblico. La soluzione resta quella di alzare la produzione a 8 milioni di tonnellate e fare di Taranto un esempio di polo siderurgico avanzato e green. Resta in campo l'ipotesi di un coinvolgimento di Invitalia, che proprio ieri ha sbloccato (e non a caso) l'impasse sulle nomine registrando la conferma dell'ad Domenico Arcuri e Andrea Viero alla presidenza.

Il tutto, avverrebbe con la creazione di una newco, probabilmente la già attiva «Ilva in amministrazione straordinaria», su cui far confluire personale e nuovi progetti, anche con il supporto finanziario di Cdp e delle controllate del governo che operano nel settore green.

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