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Il conto del Papeete diventa positivo E spunta un tesoretto

Nel 2018 risparmiati 1,5 miliardi. Ma le tasse non si fermano mai: pressione fiscale record

Il conto del Papeete  diventa positivo E spunta un tesoretto

Alla fine il «conto del Papeete» - epiteto poco lusinghiero con quale il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri etichetta l'eredità del precedente governo - non è così male, almeno per quanto riguarda i conti pubblici. Ieri l'Istat ha messo in fila una serie di dati relativi all'anno in corso. Nel secondo trimestre 2019 l'indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al Pil è stato pari all'1,1% (1,3% nello stesso trimestre del 2018).

Risultato ottenuto grazie al fatto che nel trimestre le uscite sono cresciute meno delle entrate (le tasse): 2,0% contro 2,5%. Deficit in ritirata «grazie agli interventi del precedente governo», rivendica l'ex viceministro all'Economia Massimo Garavaglia. «Alla fine saremo ricordati come il governo del rigore». Che i conti del 2019 siano un po' migliori lo dimostra anche la notizia riportata nei giorni scorsi dall'agenzia Bloomberg sullo sblocco del fondo di garanzia sul deficit: 1,5 miliardi di spese ministeriali congelate dall'ex ministro dell'Economia, Giovani Tria, per evitare la procedura di infrazione.

Più incerte le prospettive sui conti del 2019. Lo stesso ministro Gualtieri ha riconosciuto che restano da coprire 14 miliardi. Poi le pressioni politiche per rendere la prossima legge di Bilancio un po' più incisiva rispetto a quella che emerge dalle cifre del Nadef.

Ieri ha tenuto banco la polemica tra il premier Giuseppe Conte e Matteo Renzi. Da Palazzo Chigi è filtrata una nota che quantifica in 40 euro al mese in più il beneficio del taglio del cuneo fiscale.

Ma il bilancio della manovra, tra nuove tasse e tagli, rischia di non essere a favore dei contribuenti. Il recupero di 7 miliardi di euro di evasione, non potrà essere messo tra le voci in entrata della legge di Bilancio, se non sarà certo - quindi un aumento della pressione fiscale su tutti.

A meno che - e questa è l'ipotesi che sta circolando con insistenza in questi giorni - il governo non inserisca a garanzia dei proventi della lotta all'evasione altre clausole di salvaguardia. Non quelle classiche, cioè un aumento dell'Iva ulteriormente aggravato dopo il quasi raddoppio previsto dalla legge di bilancio firmata da Tria. Semmai con un taglio di spesa, un congelamento di quelle già messe a bilancio, simile a quello che per il 2019 sarebbe stato recentemente sbloccato.

Una buona notizia per il governo in carica è che nel secondo trimestre del 2019 il prodotto interno lordo è aumentato dello 0,1% sia rispetto al trimestre precedente, sia nei confronti del secondo trimestre del 2018. La crescita acquisita dovrebbe, quindi, escludere un 2019 a crescita zero.

Cattive notizie per i contribuenti. La corsa delle tasse non si ferma. La pressione fiscale resta saldamente sopra il 40%. Nel secondo trimestre dell'anno è cresciuta dello 0,3%, al 40,5%. Se il governo manterrà gli impegni del Def aggiornato, il prossimo anno potrebbe arrivare a quota 41%.

Difficile che quei sette miliardi messi nero su bianco nel primo documento ufficiale della sessione di bilancio sia vero recupero dell'evasione. «L'idea di voler ridurre il tax gap di ulteriori 7 miliardi in un solo anno è sbagliata - spiega Renato Brunetta di Forza Italia - perché metterà una innaturale pressione sull'amministrazione finanziaria, i cui vertici saranno comunque responsabilizzati al raggiungimento dell'obiettivo».

Si tratterebbe insomma di un ritorno ai metodi inaugurati ai tempi del ministro Vincenzo Visco. L'amministrazione fiscale usa le sue capacità di persuasione per fare versare al contribuente quello che gli stessi uffici credono si debba versare.

Scenari per nulla favorevoli ai contribuenti.

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