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"Contro il genocidio dei cristiani è lecito usare la forza"

Il Nunzio apostolico all'Onu: "La comunità internazionale deve difendere gli innocenti. E se dialogo ed embargo non bastano...". Sostieni il reportage

"Contro il genocidio dei cristiani è lecito usare la forza"

«In alcuni casi non siamo più di fronte a semplici persecuzioni, ma ad un vero genocidio». Quando gli chiedi degli attacchi ai cristiani per mano di Stato Islamico e gruppi jihadisti l'arcivescovo Silvano Maria Tomasi, nunzio apostolico presso le Nazioni Unite di Ginevra, sfodera quella parola terribile. Una parola che riporta alla memoria stragi ancor più grandi. Ma secondo il nunzio che da un decennio denuncia la sistematica persecuzione delle comunità cristiane, solo questa parola rende appieno la sistematicità delle minacce alla fede di Cristo: «Secondo la Convenzione sui diritti umani del 1948 il genocidio è l'intenzione di eliminare un gruppo con un'identità etnica o religiosa precisa e questo - afferma Tomasi in quest'intervista esclusiva a Il Giornale - è quanto succede ai cristiani o agli yazidi perseguitati dallo Stato Islamico».

Per fermarlo si deve usare la forza?

«Uno Stato deve proteggere i propri cittadini. Se non è in grado di farlo spetta alla comunità internazionale impedire violenze ai danni d'innocenti. Questo principio del diritto internazionale - accettato e condiviso dalle Nazioni Unite - va esercitato solo in mancanza di altre opzioni. Una volta esperite tutte le possibilità, dall'embargo al blocco delle armi, all'isolamento internazionale, è lecito prevedere un uso della forza sanzionato dal Consiglio di Sicurezza. Deve però essere un uso accorto. Interventi sconsiderati rischiano di produrre danni maggiori».

L'Islam può esser considerato responsabile per alcune persecuzioni?

«La maggioranza degli stati islamici non perseguita chi non ne condivide la fede. In alcuni di questi i cristiani non sono però cittadini con uguali diritti e doveri. Questa differenza strutturale determina un esodo sistematico dei cristiani. Da una parte c'è, quindi, la struttura politica di alcune nazioni islamiche da cui deriva la discriminazione sistematica di chi non appartiene alla maggioranza religiosa. Dall'altra ci sono gli atti violenti di gruppi che usano la fede religiosa in maniera ideologica».

La persecuzione dei cristiani è una prerogativa islamista?

«Abbiamo situazioni molto difficili anche in alcuni stati indiani come il Gujarat. Lì gli induisti non accettano il pluralismo religioso e politico. In Cina ci sono ancora resistenze di fronte alla presenza di una Chiesa libera. In generale l'intolleranza verso i cristiani è sempre il riflesso di un'intolleranza più generale. Dove non si rispetta la libertà religiosa non vengono garantiti neppure gli altri diritti fondamentali».

Perché tanto odio per i cristiani?

«L'identità cristiana porta con se libertà, pensiero indipendente, razionalità e concretezze quotidiane che infastidiscono le realtà non democratiche. Nella tradizione cristiana le relazioni con gli altri si basano sul dialogo e sul rispetto della dignità altrui. Un modello unico di vita e pensiero mal si concilia con l'essere cristiano».

Il Papa parla di silenzio complice? A chi allude?

«In molti paesi Occidentali c'è la tendenza a tacere quando violenza e discriminazione colpiscono persone di fede religiosa. Come se i diritti di chi crede in Dio non fossero uguali a quelli di chi non ci crede. Quando in Libia lo Stato Islamico decapita 21 copti egiziani la stampa francese parla semplicemente di cittadini egiziani. Omettendo così di spiegare che sono stati uccisi per non aver rinunciato alla propria fede. Quando la violazione dei diritti umani colpisce la sfera religiosa c'è reticenza a difendere i diritti delle persone.

Cosa rischiamo?

«Rischiamo, come avverte Papa Francesco, che il silenzio generi tragedie ancor più grandi. E magari tra qualche anno dovremo chiederci perchè intere comunità sono state spazzate via senza che noi muovessimo un dito».

L' Europa sta rinnegando le proprie radici cristiane?

«Come diceva Padre Benedetto XVI l'identità religiosa rischia di venir sottomessa ad un laicismo anti religioso. Bisogna distinguere tra laicità intesa come terreno d'incontro di fedi diverse e il laicismo di chi mette al bando la dimensione religiosa.

Da questa mentalità nasce l'indifferenza per i fedeli perseguitati».

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