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Controriforma di D'Alema: via il governo, poi ci penso io

L'ex premier: Renzi è diventato un politico come tutti gli altri Io mi dimisi per una sconfitta molto meno catastrofica

Controriforma di D'Alema: via il governo, poi ci penso io

Renzi «ha perso la spinta innovatrice», dopo due anni «è diventato un politico come gli altri, con i peggiori difetti». Soprattutto da quando ha deciso di «cominciare da me la sua rottamazione». Massimo D'Alema si prende la scena alla Festa dell'Unità di Catania, in un faccia a faccia col ministro Paolo Gentiloni, e mena pugni come fosse sul set di Toro Scatenato: «Non c'è mai stata una simile violenza nel partito», accusa. E a riprova porta il suo esempio: certo, dice, con Veltroni o con Prodi lui aveva anche delle discussioni, ma mai avrebbe fatto loro quel che Renzi ha fatto a lui. Imbarazzo in platea, recuperato in corner quando grida: «Io mi dimisi da premier dopo una sconfitta molto meno catastrofica delle ultime comunali». Renzi invece «ha occupato la Rai, caccia i dissidenti: solo Berlusconi era arrivato a tanto». In ogni caso, lui al referendum voterà no: la riforma di Renzi va bocciata. Per farne un'altra, la sua.

Niente Bicamerali, stavolta: l'ex premier ha messo al lavoro «tre costituzionalisti», non meglio identificati, e ha cucinato «mezza paginetta» (altro che la sarabanda di articoli faticosamente riscritti da Maria Elena Boschi) con la quale ha dimezzato di netto tutti i parlamentari e corretto con un tratto di penna il bislacco bicameralismo all'italiana. Certo, a differenza della riforma Boschi quella D'Alema non è passata sei volte al vaglio del Parlamento, e per ora è tutta e solo nella testa del suo ideatore. Ma queste sono quisquilie e pinzillacchere, come direbbe Totò. «Sono pochi punti, molto chiari e avranno una larghissima maggioranza», assicura. Quanto ci vuole per approvarla? «Sei mesi». «Sì, sul web», replica Gentiloni. Risate in sala.

L'occasione per il lancio della contro-riforma dalemiana sarà la manifestazione della «Sinistra per il No» convocata per il 5 settembre a Roma per rianimare quella che all'ex premier sembra una campagna un po' sottotono: «In troppi cincischiavano», occorreva una sveglia. La critica è rivolta soprattutto alla minoranza Pd, che ancora non sa che pesci prendere. La stesura di un documento per il «No» è stata affidata al bersaniano Davide Zoggia. L'idea di alcuni era di renderlo pubblico prima del 5 settembre, per evitare di apparire a rimorchio di D'Alema. Ma Bersani e Speranza hanno frenato: con l'emergenza terremoto in corso, e il profilo ecumenico scelto da Renzi, c'era il serio rischio di apparire allo stesso elettorato Pd come i soliti piantagrane che si occupano solo di beghe interne. Di qui la decisione di disertare l'appuntamento dalemiano e di rinviare le grandi manovre: «Un documento ora sarebbe prematuro», confidano. E Zoggia stesso si occupa di giustificare la frenata: «Vogliamo un impegno formale a modificare l'Italicum. Se non arriverà, faremo le nostre scelte». Quando? La parola d'ordine è: aspettare il discorso con cui Renzi, l'11 settembre, concluderà la Festa dell'Unità a Catania. «Vedremo cosa ci dirà».

D'Alema su questo però si mostra assai più lucido: «Non polemizzo con Bersani, ma è chiaro che nessuno cambierà l'Italicum prima del referendum». E infatti Renzi non ha intenzione alcuna di promettere modifiche alla legge elettorale: «Aspetteremo la pronuncia della Consulta a ottobre, e poi si vedrà», dicono i suoi. Quanto alla minoranza, «toccherà a loro spiegare perché, dopo aver votato sì alla riforma in Parlamento, ora chiedono ai cittadini di votare No». Quanto agli attacchi di D'Alema, in casa renziana la replica è ironica: «Che dio ce lo conservi».

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