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"Così il corrotto De Gregorio si è salvato beffando tutti"

Napoli, la difesa di Berlusconi smonta il teste chiave del processo sulla compravendita di senatori. Ghedini: è libero, non ha restituito soldi e ha bloccato le inchieste su di lui

L'ex senatore Sergio De Gregorio
L'ex senatore Sergio De Gregorio

nostro inviato a Napoli

«Sergio De Gregorio - dice Niccolò Ghedini - sarà uno splendido esempio di corrotto per le generazioni future, perché grazie alla Procura di Napoli è riuscito a ottenere un risultato straordinario. Lavitola è in catene, per Berlusconi la procura ha chiesto il massimo della pena. Invece De Gregorio ha patteggiato un anno e otto mesi, non ha risarcito niente, i processi contro di lui sono tutti fermi perché è considerato vittima di usura, quelli contro sua moglie anche. Un uomo di grandissima abilità. Non gli hanno neanche ritirato il passaporto».

È un processo «bellissimo», ammette Ghedini, quello che a Napoli si trascina da un anno e mezzo contro Silvio Berlusconi, e che domani arriva finalmente a sentenza. Bello: non perché sia piacevole per Berlusconi trovarsi per la centesima volta sul banco degli imputati, accusato di corruzione per avere strappato con tre milioni De Gregorio al traballante Ulivo di Prodi, e gravato da una richiesta di cinque anni di carcere; ma perché tocca temi cruciali del rapporto tra politica, giustizia, etica: un parlamentare che cambia casacca per motivi venali tradisce la propria dignità e il proprio patto con gli elettori, o viola il codice penale? Ma il processo in fondo è bello anche perché sull'intera vicenda svetta lui, Sergio De Gregorio, ennesima incarnazione dell'eterna guerra tra furbi e fessi raccontata da Prezzolini, ed è ovvio da che parte sta lui, De Gregorio, che con le sue confessioni sul ribaltone del 2007 ha ottenuto - dice Ghedini - che i pm non indagassero su altri e ben più torvi legami nel mondo del crimine organizzato.

Della impresentabilità di De Gregorio come teste d'accusa è consapevole in fondo anche la Procura, rappresentata in aula ieri da Henry John Woodcock, e infatti come architrave del processo nella loro requisitoria i pm hanno indicato non le confessioni dell'ex senatore ma un documento, la lettera che Valter Lavitola, editore dell 'Avanti , avrebbe scritto a Berlusconi per rivendicare di avere «comprato» a nome suo De Gregorio. Lavitola è già stato condannato per tentata estorsione a Berlusconi, è anche lui imputato in questo processo, ieri era in aula, circondato dalle guardie, il pallore del carcere, il golf nonostante il caldo asfissiante: e giura che quella lettera lui non l'ha mai scritta. Anche Ghedini è convinto che sia un falso: ma, dice, il problema non è neanche questo.

La chiave del processo, per il difensore storico di Berlusconi, è un altro: «La procura - dice ai giudici - vi chiede di investigare sulle ragioni di un voto che invece è insindacabile». Quando De Gregorio, eletto nelle liste dell'Italia dei valori, decise di votare la sfiducia al governo Prodi, non era un funzionario pubblico ma un politico, sganciato dal più ovvio dovere dei funzionari pubblici, l'imparzialità, e comunque in base alla Costituzione libero di votare senza vincoli. D'altronde tornare nel centrodestra per De Gregorio, ex di Forza Italia, voleva dire tornare alle origini. Ed anche nelle sue confessioni ai pm De Gregorio ribadirà di avere scatenato una «guerriglia urbana» per «strappare da palazzo Chigi il governo più impopolare della storia repubblicana».

Motivazioni politiche e esigenze di quattrini, insomma, spinsero De Gregorio, sommerso dai debiti, a passare armi e bagagli con Berlusconi, e i soldi che gli vennero promessi per aiutare il suo movimento «Italiani nel mondo» erano un accordo così poco clandestino che quando i versamenti iniziarono a ritardare, De Gregorio fece causa. Per la Procura di Napoli l'Operazione Libertà, la campagna lanciata da Berlusconi per strappare parlamentari alla risicata maggioranza prodiana, era in realtà una «operazione pianificata volta a sovvertire l'ordine democratico», sostenuta non dal Berlusconi politico ma «dall'uomo Berlusconi», «ossessionato» dall'ambizione di tornare a Palazzo Chigi.

Ma Ghedini ricorda ai giudici ciò che scrisse la Procura di Roma quando si occupò della faccenda: sono comportamenti che «appartengono alla morale e alla sociologia ma non alle competenze di una procura della Repubblica».

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