Cronache

Così derubavano anche i santi

Cifre fino a mezzo milione raccolte per favorire una canonizzazione. E il denaro finiva in fondi d'investimento

Così derubavano anche i santi

Roma - Non ci sono solamente i mega-attici dei cardinali o l'obolo di San Pietro che invece di essere destinato ai più poveri viene utilizzato da vescovi e porporati per le proprie spese pazze. C'è anche un giro di soldi per far sì che il proprio candidato diventi beato e santo. È la «fabbrica dei santi». Nei due libri di inchiesta Via Crucis di Gianluigi Nuzzi e Avarizia di Emiliano Fittipaldi, vengono fuori somme da sballo che comunità religiose, sacerdoti e fedeli devono tirare fuori per far sì che il loro protettore diventi santo. Nel mirino dell'inchiesta è finita la Congregazione per la Causa dei Santi che - secondo i due giornalisti e i documenti inediti che hanno pubblicato - avrebbe chiesto anche 50mila euro per far aprire una causa di beatificazione. «A questa cifra - scrive Nuzzi - andranno aggiunti i costi vivi dell'operazione per almeno altri 15mila euro». L'autore di Via Crucis , in possesso di documenti riservati della Commissione di studio sulle strutture economiche e amministrative della Santa Sede (Cosea), creata da Papa Francesco proprio per fare luce sui bilanci e sulle finanze vaticane, indica le cause più costose; come il processo che ha portato alla beatificazione di Antonio Rosmini, nel 2007, costata 750mila euro.

L'attenzione è poi puntata su due postulatori laici, Andrea Ambrosi e Silvia Correale, che gestiscono svariati casi di beatificazione e canonizzazione, domandando tariffe da capogiro. La «fabbrica dei santi» è stata particolarmente attiva durante il pontificato di Giovanni Paolo II: 1.338 beati e 482 santi in 27 anni di pontificato, un numero superiore a quello mai raggiunto in tutta la storia della Chiesa. Per questo, nel 1983, Karol Wojtyla decise che i fondi delle cause fossero amministrati dai postulatori, incaricati anche di tenere una contabilità aggiornata. Ma nessuno, finora, aveva controllato i bilanci.

Dopo aver preso visione dei numeri sconcertanti, la Cosea riferisce immediatamente al cardinale Giuseppe Versaldi (dal 2011 al marzo 2015 presidente della Prefettura degli affari economici della Santa Sede) che dispone il blocco di tutti i conti correnti riferiti ai postulatori e alle cause presso l'Amministrazione del Patrimonio della Sede apostolica e lo Ior. La disposizione riguarda anche alcuni nomi di spicco, come monsignor Georg Gänswein - a cui viene dunque bloccato il conto - e monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia e postulatore di Oscar Romero, il vescovo salvadoregno ucciso dagli squadroni della morte.

In Avarizia , Emiliano Fittipaldi segnala il caso della canonizzazione di Francisca Ana de los Dolores, da parte di una congregazione di Palma di Maiorca che, «fino a ottobre 2013 ha depositato sul conto Ior la bellezza di 482.693 euro». E la montagna di soldi necessaria per innalzare Francisca agli onori degli altari non è l'eccezione. «Dal 2007 al 2013 le missionarie di Sant'Antonio Maria Claret - afferma il giornalista dell' Espresso - hanno infatti investito per la beatificazione di madre Leonia Milito circa 116 mila euro. Ma in gran parte sono finiti in fondi d'investimento».

Dunque, per vedere santificati i propri «candidati», confraternite, monsignori e vescovi sono disposti a pagare alla fabbrica dei santi fiumi di denaro.

E non stupisce - come evidenzia Fittipaldi - che «una delle cause di canonizzazione più costose sia quella che dal '96 cerca di far assurgere alla beatitudine padre Michael McGivney, fondatore dell'associazione cattolica più ricca e potente del globo, quella dei Cavalieri di Colombo».

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